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L'elefante pigmeo

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Approfondimenti

L'elefante pigmeo

esiste davvero una terza specie di elefante africano?
Ritratto di lorenzorossi di Lorenzo Rossi - Mar, 12/12/2017 - 21:16Qui si parla di
Un gigante in miniatura

Un pigmeo di due metri d’altezza potrebbe sembrare un paradosso, ma queste dimensioni rientrano perfettamente nella definizione data se il loro portatore è un esemplare adulto del più grande mammifero terrestre esistente...
Attualmente si conoscono soltanto due specie di elefanti africani: l’elefante di savana (Loxodonta africana), che può raggiungere in casi eccezionali i quattro metri di altezza e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis), che supera i due metri e mezzo.
Da secoli i nativi di molte zone dell’Africa centrale e occidentale parlano però di una terza specie di elefante che molto raramente supererebbe i due metri di altezza e che vivrebbe nel cuore delle foreste pluviali e nelle zone paludose, in aree solo saltuariamente frequentate dagli elefanti di foresta.

Questa presunta terza specie di elefante è conosciuta nella Repubblica Democratica del Congo con il nome di wakawaka, in Congo come messala, in Repubblica Centrafricana come essala e come mussaga in Camerun. Ovunque le descrizioni sono sempre le stesse: si tratterebbe di elefanti i cui adulti non sono mai più alti di 2 metri, che vivono in branchi isolati da quegli degli altri elefanti e che possiedono un’indole più aggressiva rispetto a questi ultimi. Inoltre prediligerebbero un habitat maggiormente acquatico, tanto che il loro nome in alcuni dialetti, significa letteralmente “elefante d’acqua”.

I primi riferimenti al misterioso pachiderma arrivati in occidente provengono dal cacciatore di elefanti W. D. M. Bele, che nel 1900 riferì come in Liberia l’elefante di foresta era chiamato “elefante blu” dati nativi, mentre la varietà più piccola “elefante rosso”. Successivamente, nel 1905, una squadra del famoso mercante di animali Carl Hagenbeck catturò in Congo un presunto messala. Si trattava di un maschio di sei anni alto 115 cm al garrese che fu portato ad Amburgo e lì esaminato dal Prof. Theodore Noack, che ne rimase colpito a tal punto da designare la nuova sottospecie Elephas africana pumilio (Elephas era il nome all'intenro del quale venivano fatti rientrare elefanti estinti e viventi in epoca storica, poi a questi ultimi fu assegnato il genere Loxodonta).

In seguito fu acquistato dallo zoo di New York dove morì dieci anni dopo a causa di un’infezione a una zampa. Al momento della sua morte era alto al garrese appena due metri, ma le sue zanne, nonostante apparissero insolitamente sottili, erano lunghe 60 cm. Ad ogni modo gli zoologi del tempo non ritennero che questo esemplare rappresentasse una sottospecie valida, ma semplicemente un caso di arresto della crescita o di nanismo.

Scettici e possibilisti

Henri Schouteden, direttore del Museo del Congo di Tervueren in Belgio, in un primo tempo si dimostrò molto scettico sull’esistenza dei piccoli elefanti:

I nativi, come spesso accade in Congo, lasciano andare senza freni la loro fantasia
Schouteden, da Heuvelmans 1955

Ma pochi anni più tardi la sua visione delle cose cambiò radicalmente in seguito all'impresa di un ufficiale belga, il sottotenente Franssen, che partì per il Congo belga con l'intento di compiere un'approfondita ricerca dell'animale e di inviarne un esemplare al Museo: 

Se l’animale esiste tornerò con lui, altrimenti non tornerò affatto
Franssen, da Heuvelmans 1955

Le sue parole si rivelarono però sinistramente profetiche. Sebbene riuscì a ritornare in patria con i resti di un presunto wakawaka, abbattuto a suo dire dopo un estenuante appostamento continuo di 36 ore tra la fanghiglia, morì poco dopo a causa di una violenta febbre.

Dopo avere esaminato questi reperti Schouteden si convinse della loro autenticità e battezzò la specie Loxodonta fransseni, nome che fu però considerato come un sinonimo di Loxodonta pumilio precedentemente istituito. L’esemplare abbattuto da Franssen, che a suo dire era uno dei più imponenti dell'intero branco, era alto appena 166 cm, ma le sue zanne, ben sviluppate, raggiungevano i 65 cm di lunghezza, misura superiore a quella di una zanna di elefante di foresta della medesima taglia.

Nel 1950 Édouard Bourdelle e Francis Petter pubblicarono uno studio che riaccese il dibattito, in quanto descriveva un presunto esemplare di elefante pigmeo abbattuto l’11 marzo 1948 presso Aloombé, lungo la costa del Gabon. Era un maschio solitario molto anziano, alto al garrese 195 cm.

Effettivamente sembra che gli elefanti pigmei abitino prevalentemente la foresta pluviale africana, specialmente le aree paludose, sembra così giustificato l’appellativo di elefante d’acqua
Bourdelle & Petter, 1950

Ciò non fu comunque ritenuto sufficiente dalla maggior degli zoologi per considerare l'eventuale esistenza di una nuova specie di elefante. Scettici in merito furono anche Jean Dorst e Pierre Dandelot in una loro opera sui mammiferi africani del 1972: 

ricorrere a una specie differente non sembra giustificabile... Probabilmente è meglio considerarli semplicemente come una sottospecie ecologica adattatasi a un habitat sfavorevole e per questo di taglia molto più piccola
Dorst & Dandelot, 1972

Anche il noto zoologo Bernhard Grzimek si dimostrò scettico a riguardo:

dato che non ci sono in Africa aree abitate esclusivamente dagli elefanti pigmei e dato che non vivono in branchi, non si tratta di specie o sottospecie, ma soltanto di individui insolitamente piccoli
Grzimek, 1975

Il più diffuso studio critico sull’esistenza dell’elefante pigmeo fu pubblicato da David Western della New York Zoological Society’s Wildlife Conservation International, che nei mesi di gennaio - febbraio del 1986 aveva condotto una ricerca sugli elefanti in Gabon, Zaire e Repubblica Centrafricana osservando i branchi di pachidermi da un piccolo aeroplano.
Notò diversi gruppi che includevano elefanti di piccole dimensioni, ma dotati di zanne, e dedusse che

...erano esemplari giovani. Nessuno aveva dei piccoli appresso. Ebbi conferma di questo quando diverse elefantesse adulte entrarono nella radura dove furono raggiunte dagli elefanti pigmei che mostrarono nei loro confronti comportamenti di affiliazione. Ho visto questo ripetersi in tre diverse occasioni. Ogni giovane stava con la rispettiva femmina quando lasciavano la radura. Le nostre osservazioni dirette confermarono... che l’elefante pigmeo non è altro che un giovane elefante di foresta
Western, 1986

Per spiegare la presenza delle zanne, insolita in esemplari giovani, Western ipotizzò che

 

(il loro) sviluppo... è indubbiamente molto più veloce in alcuni elefanti di foresta rispetto a quelli di savana. Il perché non ci è chiaro. La risposta potrebbe risiedere nel precoce distaccamento dei piccoli dalla madre
Western, 1986

Secondo lui questo poteva essere dovuto all’alta competizione per il cibo nell’habitat di foresta rispetto a quello di savana.

Tra le varie teorie per spiegare la diffusa credenza nell’esistenza dell'elefante pigmeo non ne sono di certo mancate anche di pittoresche, come quella avanzata dal cacciatore inglese W. R. Foran, secondo il quale si trattava di un’invenzione dei contrabbandieri di avorio. Secondo Foran, essendo proibito uccidere gli esemplari immaturi, quando un bracconiere ne abbatteva uno dichiarava che si trattava di un adulto di elefante pigmeo. 

Le prove sembrano aumentare

Nel 1989 fu pubblicato a firma dagli zoologi Martin Eisentraut e Wolfgang Bohme del Museo Zoologico Alexander Koenig di Bonn, uno studio a favore dell’esistenza dell'elefante pigmeo, . I due autori fecero un’approfondita revisione del materiale bibliografico e dei reperti conosciuti attribuiti all’enigmatico piccolo elefante, giungendo alla sorprendente conclusione che Loxodonta pumilio era una specie valida.

Per prima cosa rigettarono l'ipotesi di “sottospecie ecologica” proposto da Dorst e Dandulot, in quanto a loro giudizio non conforme all’allora moderno concetto di sottospecie, le quali per definizione non coesistono nella medesima area geografica. A loro avviso l’ipotesi di una sottospecie risultante da un ambiente sfavorevole non era accettabile dato che era quasi il medesimo ambiente dell’elefante di foresta, se non addirittura più ricco di piante commestibili.

Secondo loro le sole ipotesi possibili erano le seguenti: o si trattava di una varietà individuale di elefanti di foresta o di una specie distinta.
Prima di tutto dimostrarono l’errata concezione secondo la quale gli elefanti pigmei non vivevano in branchi formati esclusivamente da individui di piccole dimensioni, citando le ricerche sul campo del collezionista di animali Ulrich Roeder, che aveva sviluppato un particolare interesse nei confronti di questo misterioso abitante della foresta. Durante una spedizione rinvenne numerose piste di impronte di elefanti più piccole di 30 cm nelle quali nessun individuo possedeva zampe di dimensioni maggiori.

Anche Aurelio Basilio nel 1962 aveva riportato informazioni simili:

Nell’interno delle foreste osservammo piste lasciate da branchi di elefanti che avevano zampe non più grandi di quelle dei giovani individui del comune elefante di foresta. Non trovammo mai piccole impronte assieme a impronte di grandezza normale e questo indicava chiaramente un’omogeneità nel branco
Basilio, 1962

Basilio aveva anche riportato che nel settembre del 1957 era stato ucciso presso il fiume Benito (Guinea Equatoriale) un elefante pigmeo adulto alto quasi 2 metri e con zanne lunghe 70 cm.

 

Non si trattava di un outsider, ma viveva in un branco di 21 individui. Tutte le orme sul terreno indicavano le stesse dimensioni. Le orme più grandi erano più piccole di 31 cm
Basilio, 1962

Inoltre i nativi della zona chiamavano esemasas l’elefante pigmeo e nsok quello di foresta.

N. P. Knoefper, zoologo francese, aveva poi messo a conoscenza Eisentraut e Wolfgang Bohme di un fatto molto interessante: mentre si trovava in Gabon aveva visitato il villaggio pigmeo di Makoku i cui abitanti avevano da poco portato due elefanti pigmei uccisi in un’area paludosa a sei ore di cammino. Esaminando i cadaveri si accorse che si trattava di un maschio e una femmina alti 180 e 160 cm. Durante la macellazione delle carni da parte dei pigmei, si scoprì che la femmina era gravida e che il feto che portava in grembo era completamente formato, cosa che sarebbe risultata impossibile per qualunque elefantessa immatura di qualunque specie.

Eisentraut e Bohme rifiutarono così l’idea di Western secondo la quale gli elefanti pigmei erano soltanto giovani esemplari di elefante di foresta.
Oltre all’analisi della letteratura disponibile decisero anche di predisporre una perizia biometrica di un presunto cranio di elefante pigmeo. I risultati indicarono però che le differenze tra le due forme prese in esame (pumilio e cyclotis) erano minori delle differenze di genere riscontrabili tra maschio e femmina di elefante di foresta. Decisero così di approfondire le diversità morfologiche utilizzando i reperti custoditi presso il Museo Reale Belga dell’Africa Centrale.

Il risultato fu che, senza eccezioni, il ramus della mandibola dell’elefante pigmeo era molto basso e gracile paragonato a quello alto e robusto dell’elefante di foresta e che anche i crani sembravano mostrare differenze, soprattutto nella parte occipitale, dove il cranio di elefante pigmeo, sebbene considerevolmente più piccolo di quello di foresta, possedeva un foro più grande, sia come proporzioni che in termini assoluti.

Questo articolo ebbe però un impatto minimo nella cerchia degli zoologi in quanto pubblicato esclusivamente in tedesco e risultando quindi praticamente sconosciuto in America e molto poco diffuso in Europa. 

Confronto tra la parte posteriore del cranio di un elefante di foresta (sinistra) e di presunto elefante pigmeo (destra)

Ad ogni modo, dopo la pubblicazione diversi testimoni contattarono i due autori, che l’anno seguente realizzarono un secondo articolo dal titolo Ulteriore documentazione sull’elefante pigmeo, corredato dalle prime fotografie conosciute di un presunto branco di questi elefanti con tanto di cuccioli a seguito. 
L’autore delle immagini era l’ambasciatore (dell’allora Repubblica Federale Tedesca in Congo) Nestroy, che aveva osservato il branco nel mese di maggio del 1982 nelle regioni paludose del Likouala, presso i confini con il Camerun. Per prima cosa osservò e fotografò un gruppo di elefanti, che ritenne pigmei, attraversare una radura e poco dopo, dallo stesso punto di osservazione, diversi elefanti di foresta che provvide ugualmente a fotografare. 
Disse che quest’ultimi erano molto più grandi, inoltre erano accompagnati da bufali cafri che potevano dare un punto di riferimento per le dimensioni. Purtroppo i bufali non erano invece presenti al passaggio degli elefanti pigmei (l’ambasciatore disse che questi ultimi erano quasi delle stesse dimensioni dei bufali), ma in una delle fotografie un elefante si trovava vicino a un airone bianco maggiore (Casmerodius albus), uccello che raggiunge al massimo i 100 cm di altezza. In base a queste misurazioni gli elefanti immortalati, che mostrano zanne ben sviluppate negli esemplari adulti, sarebbero stati alti dai 150 ai 160 cm, dimostrando una volta per tutte che gli elefanti pigmei non erano affatto giovani individui di elefante di foresta.

Presunto branco di elefanti pigmei fotografati da Nestroy. L'esemplare adulto che guida il branco sembra essere posto in primo piano rispetto all'airone bianco maggiore

Eisentraut e Bohme concludevano il loro articolo con un accorato appello:

Il nostro primo articolo cominciava con una domanda. Ora concludiamo il nostro secondo articolo allo stesso modo: quali ulteriori prove sono necessarie per convincere i dubbiosi più ostinati che la questione dell’elefante pigmeo e la sua evoluzione, biologia e protezione non può essere risolta semplicemente ignorando il problema?
Eisentraut e Bohme, 1990
tentativo di riproduzione in scala della fotografia di Nestroy eseguita da U. Bott.
Le analisi del DNA

Nonostante tutto anche quest’ultimo sforzo non godette di ampia diffusione negli altri paesi, al punto che, come il precedente, non è nemmeno citato nelle successive pubblicazioni riguardanti l’elefante pigmeo, la cui esistenza continuò sempre ad essere messa in dubbio.

L’ultima, e per ora definitiva, parola sull’intera questione è quella di un team francese guidato da Régis Debruyne, che nel 2003 pubblicò i risultati degli esami del DNA effettuati su resti di esemplari classificati come elefanti pigmei, paragonandoli a quelli dell’elefante di savana e di foresta. 
Infatti soltanto due anni prima, e per puro caso, si era scoperto che l’elefante di foresta, a lungo ritenuto una sottospecie dell’elefante di savana, era in realtà una specie a sé stante ben distinta e geneticamente separata. Questa scoperta era avvenuta grazie all’esame del DNA eseguito per risalire alla provenienza di partite di avorio di contrabbando e l’equipe francese aveva deciso che era giunto il momento di risolvere allo stesso modo e una volta per tutte anche il mistero dell’elefante pigmeo. 
I ricercatori decisero di focalizzare la ricerca sul DNA mitocondriale di nove reperti museali etichettati come elefanti pigmei, otto elefanti di foresta, tre di savana e due asiatici. I risultati non dimostrarono nessuna sostanziale differenza tra il DNA dell’elefante pigmeo e quello di foresta, e la conclusione dei biologi fu che il taxon Loxodonta pumilio dovesse essere abbandonato.

Tuttavia concludevano le loro ricerche affermando che

Tuttavia, rimane la possibilità che le popolazioni locali di elefanti si siano evolute in modo convergente, nel senso di una riduzione complessiva delle dimensioni. In breve, riconoscere che gli elefanti pigmei non sono una specie, non nega l’esistenza di questi animali come rappresentanti di una variazione locale estrema di elefanti di foresta
Debruyne at al, 2003
Bibliografia

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