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L'orso degli alberi

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L'orso tibetano è il più diffuso tra gli orsi asiatici
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L'orso degli alberi

un curioso esempio di etnozoologia nepalese
Ritratto di lorenzorossi di Lorenzo Rossi - Ven, 18/05/2018 - 08:47Qui si parla di
L'orso tibetano è il più diffuso tra gli orsi asiatici

Il 30 aprile 2004, pagando lo scotto di un madornale errore, versavo in pessime condizioni in un’abitazione del piccolo villaggio di Gosainkund, Nepal orientale. Pochi giorni prima ero stato sorpreso da un’inaspettata tormenta di neve mentre ero intento a svalicare il passo omonimo, a 5.000 metri di quota, che mi aveva trovato del tutto impreparato (e con uno scarpone rotto) e ora stavo pagando questa mia leggerezza, con diversi giorni di riposo forzato, per riprendermi dai postumi di una tremenda ustione al volto dovuta al riverbero della neve.

Mentre facevo passare il tempo ascoltando distrattamente i discorsi dei locali, cogliendo di tanto in tanto qualche parola conosciuta, udii distintamente pronunciare il termine rukh bhalu e mi avvicinai cercando di seguire la discussione il più attentamente possibile, nonostante la mia scarsa conoscenza del nepali.

Quel termine mi aveva infatti riportato alla mente che tra i nativi di diverse valli settentrionali del Paese, è molto diffusa la credenza che oltre all’orso tibetano (Ursus thibetanus), nelle foreste dimori anche un’altra specie di plantigrado, da loro chiamato appunto rukh bhalu, che significa “orso degli alberi”. Nelle aree dove questa credenza è maggiormente radicata, l’orso tibetano viene chiamato bhui bhalu, che significa “orso di terra”, proprio per distinguerlo dalla sua presunta variante arboricola...

Primi accenni

Il primo (e a dire il vero molto vago) accenno in letteratura che sembrerebbe confermare una verità di fondo in questa tradizione nepalese, risale al 1864 e consiste in una revisione delle specie di orso custodite presso il British Museum, a opera dello zoologo John Edward Gray, che include tra i campioni presenti nella collezione, anche un orso da lui ribattezzato Ursus torquatus arboreus[1]. Il cranio dell'animale era stato donato al museo dal naturalista Thomas Oldham, che operava in prossimità della zona indiana di Darjeeling, sul confine estremo con il Nepal orientale, e contrassegnato con il nome di Ursus hindaicus arboreus. Purtroppo sembra che gli appunti in merito forniti da Oldham siano andati perduti, il che impedisce di conoscerne le eventuali considerazioni basate su osservazioni dirette, ma l’aggettivo "arboreus", che significa "arboreo", sembra riportare alla mente il misterioso orso degli alberi. 
Tuttavia, nonostante Gray accettasse questo plantigrado come valida sottospecie dell’orso tibetano, concluse la sua analisi del cranio con un'interessante considerazione:

...ha un ampio margine frontale delle narici posteriori... ma abbiamo un cranio di giovane Ursus tibetanus... con una simile apertura nelle narici posteriori.
Gray, 1864

Un successivo riferimento riguardante l’enigmatico plantigrado risale a oltre 70 anni dopo, quando Reginald Pocock, all’interno del suo secondo volume dedicato alla fauna dell’India datato 1941, escluse che potesse trattarsi di una valida sottospecie:

Il nome fu assegnato da Gray sulla base di un cranio di un individuo immaturo etichettato da Oldham 'Hursus hindaicus arboreus’... Non è chiaro perché Oldham ritenesse che il cranio potesse giustificare un nuovo nome, ma Gray menziona qualche sua caratteristica apparentemente distinta. Queste ultime non hanno però valore sistematico perché ricadono nei limiti di variabilità individuale, come dimostra un’occhiata dei crani tipici in mostra al British Museum.
Pocock, 1941
Il ritorno del rukh bhalu

L’orso degli alberi tornò a fare parlare di sé soltanto nel 1983, quando i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia secondo la quale Daniel Taylor-Ide del Woodlands Institute della Virginia e il famoso ornitologo Robert L. Fleming, avevano scoperto una nuova specie di orso nelle foreste di montagna del Nepal orientale.

Taylor-Ide disse che dopo settimane di lavoro sul campo nella Barun Valley, alle pendici del monte Makalu, i nativi gli avevano parlato dei due diversi tipi di orso che abitavano le foreste locali. Uno di questi era il comune orso tibetano, mentre il secondo era arboricolo, più agile, timido e molto difficile da osservare. Gli fu anche detto che un maschio adulto non pesava più di 70 kg, contro i 180 kg che possono essere invece raggiunti dall’orso tibetano.

Nel corso della prima spedizione fu rinvenuto il presunto cranio di un esemplare femmina di orso degli alberi, a cui se ne aggiunsero altri due (appartenenti a un giovane maschio e a un adulto) durante un secondo sopralluogo. Nonostante il non molto materiale a disposizione, basandosi sul fatto che i premolari dei crani attribuiti agli orsi degli alberi erano visibilmente più piccoli di quelli degli orsi tibetani, Taylor-Ide propose di istituire una nuova specie con il nome scientifico di Ursus nepalensis

Oltre alle presunte peculiarità morfologiche, il ricercatore era convinto di avere osservato anche notevoli differenze etologiche tra i due orsi: i rukh balhu costruivano infatti giacigli sugli alberi che sembravano molto più elaborati e complessi di quelli saltuariamente costruiti dagli orsi tibetani. 
Furono anche localizzate cinque di queste piattaforme e due presunte piste di impronte, che procedendo in salita su di un pendio coperto di muschio senza disturbare minimamente il terreno circostante, nelle idee del naturalista americano confermavano le dichiarazioni dei nativi circa l’estrema agilità della specie. 

Le prove non convincono

Ritornato in patria Taylor-Ide sottopose i crani raccolti all’attenzione degli esperti della Smithsonian Institution, che però si dimostrarono molto scettici dinanzi a questa “scoperta”, chiedendo ulteriori elementi, come crani appartenenti a orsi tibetani provenienti dalla medesima area, in modo da potere appurare se esistessero davvero tangibili differenze morfologiche tra le due presunte popolazioni.  

Così l’anno seguente ritornò in Nepal con un team che includeva anche i fratelli Craighead, grandi esperti di orsi divenuti famosi per essere stati i pionieri delle tecniche di monitoraggio della fauna attraverso l’utilizzo dei radiocollari. Questa spedizione raccolse dalle abitazioni degli abitanti dei villaggi 11 crani, appartenenti, secondo le dichiarazioni dei nativi, sia all’orso degli alberi che all’orso tibetano, ma quando John Craighead poté esaminarli le sue conclusioni furono alquanto deludenti:

Mostrano una chiara progressione dai giovani agli adulti. L’orso nepalese degli alberi è la forma giovanile dell’orso nero tibetano.
John Craighead

Queste conclusioni confermavano in pieno i precedenti sospetti di Gray e la più sicura conclusione di Pocock, ma non furono sufficienti a dipanare i dubbi di Taylor-Ide, che diversi anni dopo rilanciò la sua presunta scoperta con un'astuta mossa di marketing...

Yeti, orsi e domani...

Nel 1995 pubblicò infatti un libro che illustrava avventurosamente la storia dell'orso degli alberi, infarcendola però con un ingrediente che lo avrebbe reso più appetibile ai lettori: l’autore spiegava infatti di essersi imbattuto per puro caso nel misterioso plantigrado, mentre era impegnato nella ricerca del leggendario yeti!
A quanto pare tutto cominciò dal ritrovamento di impronte “misteriose”:

Inginocchiati nella neve, Nick e io esaminiamo le tracce. Non ci sono segni di scivolate, nessuna prova di sovrimpressioni lasciate da un passo quadrupede. Le orme sembrano denunciare con coerenza una camminata sinistro-destro-sinistro. Ogni impronta mostra il segno come di un pollice, benché alcuni siano più chiari di altri. Certe orme sono molto più nitide... ‘Quelli sono alluci, non artigli’, dico a Nick che sorride.
Taylor-Ide, 1995
Impronta di orso sulla neve fotografata da Daniel Taylor-Ide (da Taylor-Ide 1995)

Questo episodio molto poco documentato all’interno del libro, anche perché l’autore sembra essersi prodigato nel pubblicare soltanto la fotografia di una singola impronta, piuttosto che quella della pista (che avrebbe potuto rivelare ancora più facilmente trattarsi di normali impronte di orso), sta alla base di una azzardata ipotesi: l’orso degli alberi avrebbe una particolare conformazione delle zampe anteriori, che sarebbero dotate di un polpastrello fornito di un grosso unghione con la funzione di un pollice opponibile per facilitare le arrampicate. 

Non solo... queste zampe particolari imprimerebbero nella neve impronte simili a quelle di un primate, cosicché le leggende sullo yeti sarebbero nate dal ritrovamento delle impronte dell’orso degli alberi.
Tutto molto suggestivo se non fosse che, a pagina 161 dell’edizione italiana, fa bella mostra di sé la fotografia di un locale mentre trasporta un presunto cadavere di rukh bhalu, del quale stranamente, l’autore non ha pensato di fotografare le zampe anteriori per documentare una volta per tutte la peculiarità che lo renderebbe unico e diverso da tutti gli altri orsi... 

Etnozoologia e sistematica

La necessità di classificare piante e animali è un comportamento tipico di ogni cultura umana ed è una pratica molto antica, che ha preceduto di millenni la moderna sistematica. I sistemi di classificazione locale della fauna si sono sviluppati principalmente in base a semplici distinzioni morfologiche e per questo, da un punto di vista etnologico, non è errato per una cultura distinguere categorie in base all'età di un animale o al sesso. 

L'errore principale commesso da Taylor-Ide è stato quello di volere trovare una perfetta corrispondenza tra classificazione etnozoologica e classificazione scientifica di una specie, senza tenere conto come questi due approcci nascano da necessità molto diverse, che spesso li rendono poco conciliabili.  Il secondo è stato quello di perseverare nella sua visione delle cose, anche quando ogni evidenza aveva già ampiamente dimostrato che l'orso degli alberi non era altro che la fase giovanile dell'orso tibetano, durante la quale, non differentemente da quanto avviene per i gorilla, il minor peso e dimensioni rendono più agevole arrampicarsi. 

Per quanto riguarda gli orsi, la cultura popolare ha creato classificazioni etnozoologiche anche in occidente, ad esempio in Abruzzo erano distinte due forme: l'orso cavallino (più minuto e con dieta vegetariana) e l'orso porcino (più grande e carnivoro). Una credenza molto simile esisteva anche in Arizona ed è riportata come esempio anche nel libro Onza! di Neil B. Carmony: 

[...] 'era un orso porcino o un orso canino'? Nessuno di noi aveva mai sentito parlare prima di orsi porcini e orsi canini. Il vecchio [...] spiegò: 'Gli orsi porcini sono grassi e la loro carne dolce e tenera. Gli orsi canini sono magri e la loro carne è fibrosa, non buona da mettere in tavola'.
Carmony, 1995
NOTE

[1] Il nome specifico torquatus è in seguito diventato thibetanus.

Bibliografia

AA. VV. (1984), Evidence for a new bear species in Nepal. The ISC Newsletter vol. 3, No. 1.
AA. VV. (1985), New Nepal bear now in doubt. The ISC Newsletter vol. 4 no. 1.
POCOCK, Reginald I. (1939), The Fauna of British India, Including Ceylon and Burma: Mammalia. Taylor and Francis. London.
TAYLOR-IDE, Daniel (2000), Sulle orme dello yeti. Edizioni Piemme. Casale Monferrato.