Il Kooloo-kamba
I primi racconti e descrizioni riguardanti il Kooloo-kamba, misterioso primate africano diverso sia dal gorilla che dallo scimpanzè, giunsero in Europa in un'epoca nella quale la primatologia era agli albori e le scimmie antropomorfe africane (soprattutto il gorilla), ancora circondate da un alone quasi leggendario.
Uno degli accenni più antichi proviene dal naturalista americano di origine francese Paul du Chaillu, che nel 1856 fu incaricato dall'Accademia delle Scienze di Filadelfia di effettuare delle ricerche di carattere geologico e naturalistico in Africa. Du Chaillu risalì il Rio Muni e arrivò al bacino dell'Oguè compiendo accurate osservazioni sulla fauna delle aree visitate, scrivendo opere di un certo valore scientifico e culturale, ma anche estremamente controverse.
Da un punto di vista prettamente zoologico, la parte di maggiore interesse dei suoi resoconti di viaggio consiste probabilmente nelle sue descrizioni dei grandi primati, non bisogna infatti dimenticare che fu il primo a dimostrare l'esistenza del gorilla di pianura (Gorilla gorilla), fino ad allora considerato una creatura appartenente al folklore indigeno.
Ma l'appena sbocciata conoscenza dell'etologia e della tassonomia dei primati africani, probabilmente unita all'incessante desiderio di scoprire cose nuove, lo indusse anche in madornali errori. In un'occasione rimase ad esempio letteralmente esterrefatto nell'esaminare un complesso giaciglio tra gli alberi, che le sue guide dissero essere stato fabbricato da uno scimpanzè. Du Chaillu non esitò quindi a descrivere una nuova specie, che battezzò Troglodytes calvus:
L'esploratore continuava la sua trattazione spiegando che la specie calvus, conosciuta dai locali con il nome di nshiego-mbouve per contraddistinguerla dallo scimpanzè comune, conosciuto semplicemente come nshiego, si distingueva soprattutto per la sua abitudine di costruire giacigli sugli alberi, ma oggi sappiamo che questo comportamento è comune a tutti gli scimpanzè e che quindi il T.calvus non era altro che uno scimpanzè del Gabon (Pan troglodytes). Nella sua descrizione l'autore cita però anche un altro primate anomalo, il Kooloo-kamba, a suo avviso confinato nelle regioni montuose del Gabon e del quale disse di avere abbattuto un esemplare...
L'autore fornisce anche una spiegazione al singolare nome vernacolare del misterioso primate, dicendo che il vocabolo Kooloo-kamba è composto dal verbo kamba, parlare, e da kooloo, parola onomatopeica che indica il peculiare richiamo dell'animale. Tuttavia gli scienziati dell'epoca che esaminarono la pelle e il cranio del Kooloo-kamba, attualmente custoditi presso il British Museum of Natural History, non riscontrarono vistose differenze con quelli di uno scimpanzè del Gabon.
Il mistero si riaccese il 21 luglio del 1873, quando Alwin Schopff, direttore dello zoo di Dresda, acquistò una femmina di scimpanzè da un uomo appena tornato dalla Bassa Guinea. L'esemplare, che fu battezzato Mafuca, misurava 120 cm d'altezza e colpì molto lo zoologo, che decise di dedicarle un articolo sulla rivista Die Zoologische Garten:
Le reazioni degli esperti dell'epoca (che non potevano ancora sapere che il colorito e le macchie scure sul volto di alcuni scimpanzè facevano parte della normale variabilità della specie) non si fecero attendere: secondo il direttore dello zoo di Amburgo, il leggendario Carl Hagenbeck, Mafuca poteva essere in realtà un gorilla e tale tesi fu abbracciata anche dal Dott. Carl Nissle, che di recente era riuscito ad esaminare il cadavere di un giovane gorilla conservato all'interno di una botte di liquore, arrivato in Germania:
Un altro nome di spicco, Alfred Brehm (conosciuto come "il Buffon tedesco"), si lasciò andare ad un'accesa tirata, specie considerando che all'epoca non aveva mai avuto occasione di vedere un gorilla:
Soltanto il direttore dello zoo di Amburgo, Heinrich Bolau, andò ufficialmente controcorrente dicendo che a suo modo di vedere Mofuca non era altro che un normale scimpanzè. Oggi sappiamo che la tesi di Bolau, confermata dall'esame delle pregevoli illustrazioni pubblicate da Brehm, era corretta, ma all'epoca i primi sostenitori dell'ipotesi gorilla cominciarono a domandarsi se Mofuca non potesse invece essere un ibrido. Tale ipotesi sembrò confermata dal contenuto di una lettera del cacciatore tedesco Hugo von Koppenfels, che aveva esplorato l'Africa occidentale. Nella missiva che inviò nel 1879 al Dott. Meyer, zoologo del Museo di Dresda, riferiva che gli indigeni conoscevano molto bene gli incroci tra gorilla (n'jina) e scimpanzè (n'shiégo), da loro chiamati kulukampa, nome chiaramente riconducibile al Kooloo-kamba di du Chaillu.
Von Koppenfels era anche riuscito a procurarsi lo scalpo, il cranio e due ossa iliache dell'animale in questione, ma anche in questo caso l'analisi dei reperti non permise di rivelare particolari differenze con quelli di uno scimpanzè.
Nuovi sviluppi si ebbero nel 1912, quando Henri Neuville del Museo di Parigi esaminò un cranio che il dott. A. Durriex aveva riportato dal bacino del Likouala-Mossala, che si estende a est del Gabon. In quest'area gli indigeni gli avevano parlato del gorilla (eboubou) e dello scimpanzè (céko), ma anche di un terzo primate chiamato dediéka. Ecco cosa Neuville scrisse in merito:
La prima descrizione di Neuville faceva quindi pensare a grandi scimpanzè (sui quali torneremo in seguito), ma in una seconda nota del 1915, in seguito all'analisi di altri reperti, lo scienziato si disse convinto che il dediéka apparteneva allo stesso genere del gorilla.
Accenni sulla possibile esistenza di ibridi tra scimpanzè e gorilla tornarono ad apparire in letteratura nel 1936, quando Georges Trial pubblicò il suo libro Roman du Gorille:
Vent'anni dopo il famoso cacciatore di gorilla Fred Merfield pubblicò il libro Gorillas Were My Neighbours, all'interno del quale discusse dell'esistenza di scimpanzè simili a gorilla chiamati choga (probabilmente una variazione linguistica della parola N'tchego [2]). Stando all'autore questi animali sono descritti come simili a gorilla per quanto riguarda l'arcata sopraccigliare prominente, la cresta sagittale, la pelle nera e le orecchie piccole, e furono da lui considerati come una rara specie di scimpanzè.
Il mondo accademico tornò ad occuparsi seriamente del Kooloo-kamba soltanto nel 1967 grazie a W. C. Osman Hill, che contribuì notevolmente all'evoluzione della moderna tassonomia dei primati. All'epoca Hill aveva condotto gli studi più approfonditi sulla morfologia degli scimpanzè, basando molta parte del suo lavoro su osservazioni dal vivo compiute presso la riserva americana di Holloman AFB, che attualmente fa parte della Coulston Fondation. Nella cerchia dei primatologi si vociferava da tempo che nella popolazione della riserva potessero esserci anche degli esemplari di Kooloo-kamba e Hill decise di descrivere minuziosamente i "sospettati" (con qualche discrepanza rispetto a du Chaillu parlò di orecchie molto piccole, simili a quelle dei gorilla e di una struttura facciale marcatamente prognata). Le conclusioni dello scienziato furono che il Kooloo-kamba non doveva essere considerato come il frutto di un'anomalia individuale, ma come una ben distinta sottospecie di scimpanzè, che decise di battezzare Pan troglodytes kooloo-kamba.
Secondo Hill questi animali vivevano solitari o in piccoli gruppi, e non in grandi branchi come gli scimpanzè. Inoltre anche se entrambe le forme potevano abitare la medesima foresta, il Kooloo-kamba era ristretto alle zone montuose del Camerun meridionale, del Gabon e del Congo. In seguito a successive revisioni (Shea 1984) gli esemplari di Kooloo-kamba descritti da Hill furono inseriti nella normale variabilità intraspecifica della specie, e la nomenclatura Pan troglodytes kooloo-kamba considerata non valida. Per il mondo accademico la misteriosa "terza scimmia" dell'Africa occidentale non era altro che una leggenda originatasi dal folklore dei nativi e dalle scarse nozioni di tassonomia dei primi esploratori.
Ma ci sono leggende dure a morire...
Nel 1898 il colonnello belga Le Marinel donò al Museo Tervuren di Brussel tre crani di gorilla che erano stati da lui raccolti presso il villaggio di Bondo vicino al fiume Uele, in Congo settentrionale. Questi reperti furono esaminati da Henri Schouteden nel 1927 e da lui considerati come una sottospecie di gorilla che battezzò Gorilla gorilla uellensis. Questa popolazione fu considerata una sorta di “ponte” tra i gorilla dell’Africa dell’est e i gorilla occidentali. Bondo è infatti quasi equidistante dai confini estremi delle due popolazioni, lontane tra loro circa 1.300 km.
Questo episodio finì però per essere trascurato dai primatologi e a questo enigma si appassionò il fotografo e conservazionista svizzero Karl Ammann, che nel 1996 al ritorno di uno suo viaggio a Bondo aveva riportato le storie dei nativi che parlavano di grandi e aggressive scimmie che uccidevano i leoni e anche uno strano reperto: un cranio di scimpanzè proveniente dal vicino villaggio di Bambillo, provvisto di cresta sagittale, particolare anatomico fino ad allora considerato tipico dei gorilla.
Dal 1998 al 1999 allestì un campo base 34 km a nord est da Bili e furono scoperti giacigli sul terreno simili a quelli preparati dai gorilla e strumenti per la cattura di termiti, tipici degli scimpanzé, lunghi oltre due metri. Amman considerò così l’ipotesi che forse le foreste di Bili erano abitate sia dai gorilla di Uele che dagli scimpanzé, inoltre fotografò uno scimpanzé ucciso presso Bondo che sembrava eccezionalmente grande per la sua specie.
Nel 2001 un gruppo di esperti primatologi tra cui George Schaller, si recò al campo base di Amman, ma fallirono nella ricerca di prove sulla presenza di gorilla, localizzando soltanto scimpanzé.
Successivamente, dal 2003 al 2004, la primatologa Shelley Williams condusse due ricerche sul campo per un totale di circa 3 mesi e mezzo. Riuscì nell’impresa di ottenere i primi filmati di uno scimpanzé di Bili in natura e scoprì alcune impronte di piedi a suo dire lunghe ben 34 cm, mentre le più grandi rinvenute da Amman erano di circa 30 cm.
E a questo punto la stampa divulgativa si scatenò letteralmente sia in Italia che all’estero riportando come fatti informazioni non verificate…
Ad esempio Emma Young su di un articolo per il New Scientist e Marco Ferrari su di un articolo per il mensile Focus riportarono mirabolanti dichiarazioni, come ad esempio che gli scimpanzé di Bili sarebbero stati “i discendenti degli animali cui appartenevano i teschi dell’enigmatico gorilla di Uele”, che rispetto ai “normali” scimpanzé hanno braccia più lunghe, che “potrebbero essere scimpanzé particolarmente primitivi, grossi e robusti che fanno giacigli in terra perché sono in grado di difendersi da leoni e leopardi”, e soprattutto che “le analisi del DNA mitocondriale rivelano un patrimonio genetico a metà tra due sottospecie di scimpanzé”.
Quanto riportato proveniva principalmente da dichiarazioni lasciate da Shelley Williams, che inizialmente aveva persino affermato che gli scimpanzé di Bili erano bipedi e alti due metri, e che per la sua inclinazione al sensazionalismo fu in seguito allontanata dal campo base di Ammann.
Ma ora fermiamoci e procediamo con ordine ad illustrare i fatti basandoci su pubblicazioni scientifiche e non sui si dice….
Partiamo dai crani di gorilla raccolti da Le Marinel, che sono effettivamente crani di gorilla e non di fantomatici antenati di scimpanzé di Bili, ma che purtroppo l’analisi genetica ha rivelato essere troppo simili ai gorilla occidentali per potere ipotizzare una popolazione separata. La spiegazione proposta è che i crani erano stati portati a Bondo attraverso scambi commerciali e che quindi il gorilla di Uele di fatto non è mai esistito e questo spiega il perché non è mai stato trovato.
Restando nell’ambito del DNA mitocondriale, peli ed escrementi ritrovati nei giacigli degli scimpanzé di Bili non appartenevano a forme intermedie tra due sottospecie di scimpanzé, qualunque cosa essa voglia dire, ma a scimpanzé orientali.
Considerando però che il DNA mitocondriale è esclusivo della linea matriarcale, l’irriducibile Williams ipotizzò che i grandi scimpanzé di Bili fossero ibridi tra gorilla maschi e femmine di scimpanzé, ma come abbiamo visto oggi sappiamo che a Bondo non ci sono gorilla. Inoltre, anche se geneticamente simili al punto tale che un’ibridazione non dovrebbe essere teoricamente impossibile, l’etologia delle due specie è molto diversa e non è mai stato documentato né in natura, né in cattività, un singolo caso di ibrido tra scimpanzé e gorilla, figuriamoci un’intera popolazione...
Dal 2004, per due anni e mezzo, si unì al campo base di Amman il primatologo Thurston Cleveland Hicks dell’università di Amsterdam, che nel 2010 ha pubblicato lo stato dell’arte sugli scimpanzé di Bili e nonostante la realtà sia stata molto ridimensionata rispetto ai proclami iniziali dei media, contro i quali lo stesso Hicks si schierò in prima linea, ci sono comunque elementi degni di interesse.
Ad esempio, anche se sembra ormai certo che gli scimpanzé di Bili sono scimpanzé orientali, la possibilità che possano rappresentare una popolazione morfologicamente distinta dalle altre non è da escludere a priori. Tra chi promuoveva questa tesi c’era ad esempio Colin Groves, tra i più grandi primatologi della storia, che era giunto a questa conclusione dopo l’analisi di 28 crani di entrambi i sessi. Secondo lui gli scimpanzé di Bili avrebbero crani più grandi, facce più allungate e scatola cranica più larga rispetto alle popolazioni vicine.
Morfologicamente si tratta comunque di scimpanzé in tutto e per tutto e non hanno nulla in comune con i gorilla, se non la cresta sagittale, la quale però è stata documentata su di un singolo cranio e forse in un individuo fotografato in vita nell’area di Gangu. Il loro comportamento è inoltre compatibile con quello che si conosce sugli scimpanzé e le loro dimensioni, a livello di popolazione, non si avvicinano, come era stato detto, a quelle dei gorilla.
Va però sottolineato che non è escluso che alcuni esemplari possano raggiungere dimensioni fuori dal comune e il team di Hicks ha segnalato il ritrovamento di impronte lunghe 30 centimetri, anche se la maggior parte di quelle ritrovate erano più piccole.
Fu anche indagato il presunto fenomeno dei giacigli costruiti in terra e non sugli alberi. Sappiamo che di norma scimpanzé, oranghi e bonobo costruiscono i giacigli per la notte sugli alberi, mentre i gorilla in questo sono più flessibili costruendoli sia sugli alberi che sul terreno, ma le eccezioni esistono anche per gli scimpanzé.
Ad esempio è una pratica comune per gli individui in cattive condizioni di salute, ma ci sono anche alcune popolazioni di scimpanzé che costruiscono piuttosto frequentemente giacigli simili a quelli dei gorilla. Per quanto riguarda gli scimpanzé di Bili, il 30% circa dei giacigli sono costruiti in terra e la spiegazione potrebbe essere dovuta a trasmissione culturale e non necessariamente al fatto che si tratta di animali che non temono i predatori.
Non c’è molto altro da aggiungere, se non che a oggi gli studi genetici sugli scimpanzé di Bili si sono fermati al solo DNA mitocondriale e che forse un’indagine più completa potrebbe portare alla luce ulteriori elementi in grado di corroborare le ipotesi di Groves.
[1] Gli eshira sono un gruppo etnico del Gabon.
[2] Nel 1852 il Dott. Franquet, fornitore di scimmie antropomorfe per il Museo di Parigi, scrisse in una lettera che in Gabon gli indigeni chiamavano il gorilla con il nome di N'géna, e chiamavano N'tchégo una scimmia di taglia più piccola.
du Cahillu, Belloni Paul (1861), Explorations and Adventures in Equatorial Africa.
Heuvelmans, Bernard (1980), Les betes humaines d'Afrique.
Shea, Brian T. (1984), Between the gorilla and the chimpanzee: a history of debate concerning the existence of the kooloo-kamba or gorilla-like chimpanzee.