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Storia della Criptozoologia

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Prima Parte

(di Bernard Heuvelmans – traduzione di Lorenzo Rossi)

* Pre-historie et naissance de la cryptozoologie, Criptozoologia, una nuova scienze per risolvere antichi misteri, 3 :3-22, Centro Parchi Roma

 Esistono fatti sconcertanti, testimoniati da uomini seri che li hanno visti con i propri occhi, o che li hanno appresi da altri uomini come loro: accettarli tutti o negarli tutti sembra essere equivalentemente improduttivo; e io oso dire qui che,come con tutte le cose fuori dall'ordinario che esulano dalle regole comuni, bisogna schierarsi in mezzo ai creduloni e agli scettici incalliti. (Jaen de la Bruyere, "Le Caractères", chap. XIV, 1689)

 Ho paura dell'arroganza, da un punto di vista scientifico, di negare l'esistenza di ciò che si ignora. Sono infatti i rispettabili scienziati che dalle loro scrivanie, decretano che le sorprendenti osservazioni di animali giganti sconosciuti sono soltanto favole. Io affermo che il nostro mondo nasconde ancora un numero di specie animali giganti e mostruose.(Lorenz Hagenbeck, direttore dello zoo di Hamburgo e giornalista, 1950 circa)

 

Almeno sino alla fine del XVIII secolo la zooologia non aveva bisogno della criptozoologia: una ricerca sistematica delle specie animali ancora sconosciute era assolutamente superflua. Sin da quando i viaggiatori europei, particolarmente dal XV secolo in poi, iniziarono a esplorare e conquistare con insaziabile avidità tutte le "terre oltre l'orizzonte", mettendo in rete ed intrappolando ovunque animali (o di fatto pescando e sparando a caso), sembravano adempiere ampiamente a questo scopo.

I naturalisti, bruciando di curiosità e passione di scoprire qualcosa di nuovo, tendevano l'orecchio alle più vaghe informazioni su mammiferi, uccelli, rettili o pesci che apparentemente non erano stati ancora classificati. In un certo senso erano tutti consumati dallo spirito della criptozoologia, sebbene non sentissero la necessità di codificare un raffinato metodo per raggiungere i loro obbiettivi nel minor tempo possibile.

Buffon disse, molto appropriatamente, "gli antichi, la cui mente era meno confinata e i cui pensieri erano più vasti, erano meno stupiti di noi riguardo alle cose che non potevano spiegare: loro vedevano molto chiaramente la natura così come essa è". Un tale modo di pensare durò per tutto il Rinascimento.

Dalle menti aperte agli scettici ostinati

Non accadeva mai che gli zoologi del XVI e del XVII secolo esitassero ad inserire nei loro cataloghi animali di cui si sentiva parlare nel mondo, anche se i loro resti mummificati o conservati in formaldeide – corazza, pelle, cranio o scheletro – non erano presenti nei vecchi gabinetti delle curiosità o negli emergenti Musei di Storia Naturale. Questo, chiaramente, portava ad uno svantaggio, sebbene di piccola entità: quello di includere nei manuali di zoologia le descrizioni ed anche i disegni di qualche creatura poco conosciuta, spesso metamorfosata con tale intensità dalle tradizioni che il loro aspetto originale era scarsamente se non del tutto irriconoscibile. Di fatto è infine emerso che queste creature favolose (spesso chiamate "mostri" per via delle caratteristiche stravaganti e spaventose ad esse attribuite) non erano altro che animali perfettamente conosciuti che furono inconsciamente mitizzati dalla nostra emotività e in seguito più o meno distorti e romantizzati per essere inseriti nell'ampia gamma degli archetipi che riflettono le nostre ambizioni, le paure, i desideri, i nostri pregiudizi e i nostri conflitti interiori.

Le più fantastiche di queste creature, come l'unicorno e il satiro, la sirena e il serpente di mare, il drago e il basilisco, la fenice e il Roc, figuravano nella maggior parte delle enciclopedie dei naturalisti e geografi del XVI e XVII secolo, ma un centinaio di anni dopo, dato che questi animali erano imbevuti di caratteristiche mitiche e a volte soprannaturali, molti di essi scomparvero dalle pubblicazioni di due dei maggiori zoologi del XVIII secolo, lo svedese Carl Von Linné (1717-1778), che tentò di classificare la Natura in un sistema gerarchico, ed il francese Buffon (1707-1788), che da parte sua cercò le cause e i motivi alla base della biodiversità.

Non tutte comunque furono eliminate, così l'Homo troglodytes, il villoso uomo selvatico dalle abitudini notturne e il Microcosmus marinus, una bestia tentacolata tanto grande da potere essere scambiata per un'isola, figuravano entrambi nel "Systema naturae" di Linneo (perlomeno nelle prime edizioni), e Buffon era ancora convinto che vi fossero tigri in Africa, ed anche un "abominevole uomo dei boschi" - rapitore di fanciulle di colore – il Pongo, una creatura davvero incredibile che ora classifichiamo con il nome di Gorilla gorilla.

Non ci si può davvero stupire di questo. Appena cinquant'anni prima, un uomo erudito e rispettato, Bishop Erik Ludvigsen Pontopiddan (1698-1764), dedicò un importante capitolo della sua "Storia Naturale di Norvegia" a tre delle più prestigiose star del Pantheon dei "mostri" marini: la sirena, il kraken e il serpente di mare. Essendo la Scandinavia una terra ricca di leggende, queste creature potevano facilmente essere considerate negli altri Paesi come favole nate tra le nebbie del nord, ma nessuno scienziato del tempo pensò di mettere in discussione la loro esistenza.

Nondimeno è d'obbligo ammettere che anche la più fantasmagorica delle creature della letteratura, arte e folklore antico, appariva letteralmente prosaica, non diversamente dagli animali che erano per davvero ed accuratamente stati osservati in terre lontane, o i cui colossali resti erano stati scavati fuori dalle profondità della Terra.

Fu così che nel 1784 apparve in Germania un anonimo libretto con un titolo molto significativo: "Beschreibung, ausfuhrliche und accurate, nebst genauer abbildung, einiger vorhin fabelhafter geschopfe, welche in der heutigen naturge schichte beruhmter schrift steller ganzlich verandert und ins light gestellt sind" (Dettagliata ed accurata descrizione, assieme alla loro corretta rappresentazione, di qualche precedente creatura favolosa, che nelle attuali Storie Naturali di diversi autori di buona reputazione appare completamente cambiata e portata alla luce).

Qualche anno dopo, nel 1791, fu pubblicata in Italia una dissertazione scientifica sullo stesso tono dal Dott. Luigi Bossi, membro dell'Accademia delle Scienze e dell'Umanesimo di Mantova, scritta sotto forma di una lettera indirizzata al Conte Gian Rinaldo Carli: "Dei basilischi, dragoni et altri animali creduti favolosi".

In sintesi emerse che, alla luce del progresso della scienza, gli animali non andavano divisi in due categorie: quelli chiaramente autentici da un lato, e quelli interamente prodotti dall'immaginazione dall'altro. Bestie che erano credute leggendarie furono scoperte in natura ed imbalsamate ed esibite nei Musei, se non addirittura in carne ed ossa nei giardini zoologici. Frammenti di ossa gigantesche che emergevano dalla terra in tutto il mondo mostravano che erano esistiti, se non altro in altre epoche, animali che erano più esotici anche di quelli che venivano considerati completamente frutto dell'immaginazione. E così gli zoologi non esitarono a dare a creature in carne ed ossa, spesso proprio le più prosaiche di tutte, nomi (come drago, kraken, basilisco, lamia, sfinge, satiro, etc.) che erano considerati ad uso esclusivo degli antichi bestiari della mitologia.

In breve, gli animali favolosi furono spogliati dai loro tratti fantastici, mentre gli animali reali furono "decorati" con i tratti della mitologia. Il confine tra i due si assotigliò poco a poco... ma comunque non per molto tempo. Quando le osservazioni di mostri leggendari del tipo più classico continuarono ad essere riportate nel XIX secolo (serpenti di mare lungo la costa Atlantica del Nord America, enormi piovre sulle coste dell'Africa e persino bellissime sirene bionde presso le Isole Britanniche), alcuni naturalisti puntigliosi – perlopiù studiosi da scrivania – iniziarono a lagnarsi in modo indignato e tagliente, con esagerata forza e tavolta violenza, contro quelle che definivano "assurde favole", "fantasie da viggiatori" (quello che arriva da lontano è una bugia), "fiabe" ed anche "chimere generate da menti semplici e malate". I serpenti marini del Nuovo Mondo furono stigmatizzati con il nome infamante di "Yankee Humbug" (Fandonia Yankee). Una tale e brutale inversione di tendenza degli scienziati del tempo richiede una spiegazione.

Barone Cuvier contro Presidente Jefferson

Nel 1795 il presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson (1743-1826), che era pratico di scienze naturali come di politica, ebbe l'occasione di esaminare delle ossa fossili che successivamente furono classificate come appartenenti a un bradipo terrestre gigante e che includevano, in modo particolare, un enorme artiglio. Fu per questo motivo che Jefferson diede a questo animale il nome di Megalonyx, che significa "grande artiglio", e che lui considerava un enorme felino "grande più di tre volte un leone". Sulla base di questa prova concreta egli concluse: "se questo animale è un tempo esistito, è probabile in base alla visione generale degli avvenimenti naturali, che possa esistere tutt'ora". Si sentì così completamente giustificato nel dichiarare in un rapporto pubblicato nel 1799: "nell'attuale interno del nostro Continente esistono sicuramente numerose aree e territori sufficientemente vasti per ospitare elefanti e leoni, se in questo clima potessero sopravvivere, e per mammoth e megalonyx che potrebbero esistere tuttora. La nostra totale ignoranza sull'immenso Paese dell'Ovest e Nord-Ovest, e di quanto contiene, non ci autorizza a dire cosa non contenga".

Fece una simile affermazione per via del fatto che vide con i propri occhi, sullo scosceso argine roccioso di un fiume, antiche incisioni rappresentanti vari animali, tra cui "la perfetta figura di un leone" (non un puma!), ed anche perché l'esistenza di una tale bestia selvatica era supportata dalle tradizioni indiane "considerate come favole, ma che hanno guadagnato credito dalla scoperta di queste ossa". Questo è un perfetto esempio di approccio criptozoologico.

Chiaramente Jefferson era in errore circa l'identità di questo "grande artiglio", ma l'attendibilità che esso diede alla tradizione indiana non è in alcun modo ridimensionata da questo fatto. Queste leggende erano sicuramente basate sulla presenza in Nord America, nel Pleistocene, di quello che è considerato un giaguaro gigante (1), Panthera atrox, non necessariamente maculato, i cui resti dimostrano che era ancora sicuramente presente in carne ed ossa fino ad appena 10.000 anni fa.

Ad ogni modo nessuno all'epoca aveva pensato di smentire o ignorare le affermazioni del Presidente Jefferson.

Circa cinquant'anni più tardi le cose cambiarono notevolmente, quando Georges Cuvier, il "padre della paleontologia", dichiarò nel 1812 in modo perentorio che c'erano "poche speranze di scoprire nuove specie di grandi quadrupedi" (2). Con riguardo agli animali favolosi, si permise inoltre qualche nota di sarcasmo: "ci auguriamo che nessuno pensi di cercarli sul serio, sarebbe come cercare gli animali di Daniele o le bestie dell'Apocalisse. Permetteteci di non cercare nemmeno gli animali mitologici dei Persiani, fonte di un'ancora più fertile immaginazione".

Eravamo ben dentro il XIX secolo che fu definito, e non senza ottime ragioni, "ottuso". D'ora innanzi dogmatismo e settorialismo: in parole povere ricorso al principio d'autorità. Un rigido e riconosciuto autoritarismo, che permeava tutte le nostre conoscenze sotto il pretesto del razionalismo ed un poco digesto positivismo. Le decisioni di cosa era accettato o non accettato dalla scienza, che si supponeva dovesse risolvere tutti i problemi dell'umanità, e che era così deificata, sembravano ispirate dal fanatismo religioso. I tempi erano giunti, o più esattamente giunti ancora -dagli abissi del Medioevo- per pontificazioni, comunicazioni accademiche e cerimonie in pompa magna e taboo scientifici.

Nel regno della zoologia questa tendenza si manifestò nella tangibile dittatura intellettuale esercitata da alcuni scienziati – che erano nondimeno uomini talentuosi - , come Georges Cuvier (1769-1832) in Francia, Sir Richard Owen (1804-1892) in Inghilterra e Rudolf Virchow (1821-1902) in Germania. Negli Stati Uniti, cioé in una società di persone dalle origini più disparate e senza passato storico, il clan dei "possessori e distributori" di conoscenze, per almeno un secolo non aveva avuto la possibilità di sussistere, per via di una cascata di rivoluzioni scientifiche e con esse la consapevolezza della fragilità e dell'effemirità di tutte le teorie e sistemi. Ma la tendenza a un sottile e rigido dogmatismo sarebbe infine arrivata e durata di più rispetto al Vecchio Mondo, di almeno cento anni. In zoologia tutto era incarnato nella persona del grande paleontologo George Gaylord Simpson (1902-1984).

Lo scetticismo egualmente opposto sia alla credulità che all'incredulità.

Pochi autodidatti illuminati che possono essere definiti i "profeti della criptozoologia", anche prima della fine del XVIII secolo avevano già avuto sentore del periodo di crisi che la scienza avrebbe presto attaversato. Poco prima della sua morte lo scrittore inglese Oliver Goldsmith (1728-1774) scrisse nel suo saggio "Storia della Terra e della Natura vivente": "Credere a tutto quello che è stato detto sul kraken e sul serpente di mare sarebbe credulità, ma rigettare la possibilità della loro esistenza sarebbe presunzione". E nel 1799, l'attore e drammaturgo inglese Thomas Holcroft (1745-1809) dopo avere sentito di recenti avvistamenti di questi veri e propri mostri marini, scrisse in una lettera a un amico "chi può affermare di potere etichettare fuori dai confini del possibile? Alcuni marinai trattanto questi racconti come assolutamente falsi e ridicoli; altri affermano seriosamente che sono veri; e io penso che sia un dovere raccogliere prove e restare su questa questione, come su molte altre, con un certo grado di scetticismo".

Così le parole furono dette. Come in qualsiasi cosa che coinvolga la scienza, "scetticismo" è in questo caso la parola chiave, essendo l'essenza del vero spirito scientifico.

Ed è per l'appunto perché questo termine porta in sé tanto peso che, deliberatamente o inconsciamente, è quasi sempre utilizzato in modo improprio, falso o incorretto dalla maggior parte delle persone, in modo particolare da quelle che possono essere marchiate con l'epiteto di "systematic debunkers", come si dice comunemente in lingua inglese. Quando queste persone si confrontano con nuove idee o nuovi fatti, che sono inusuali, incredibili, o imbarazzanti, si accontentano di scuotere le spalle e dire che, essendo scettici, non credono a queste cose. Ma in realtà non sono affatto scettici, sono semplicemente increduli, che è una cosa diversa e anche contraria.

L'essenza dello scetticismo è di fatto il dubbio. Per essere un vero scettico, come ben disse Anatole France (1844-1924), che era uno di questi, "bisogna dubitare di tutto,anche del valore del dubbio". Non bisognerebbe accettare né rigettare nulla a priori. Nessuno dovrebbe esprimere opinioni prima di essere completamente informato e prima di avere esaminato attentamente e con grande cura tutte le prove possibili.

Pierre Bayle (1647-1706), autore del "Dizionario Storico e Critico", il cui spirito sembra avere ispirato quello dell'intero secolo successivo, il secolo dell'illuminismo, disse ben giustamente "credere a tutto e non credere a niente sono due estremi che non conducono a nulla". Inutile dire che esiste una felice via di mezzo che si trova a metà di quanto Padre Jacques d'Autun definì nel 1671 "incredulità scienitifica e ignorante credulità".

Tutto è stato detto e fatto, la criptozoologia è fondata sul più elementare buon senso.

I più grandi nomi della scienza hanno supportato lo spirito della criptozoologia.

Gli uomini di scienza dalla mente aperta non cedettero mai -è necessario dirlo?- alle imposizioni dei dittatori scientifici del XIX secolo. Essi continuarono a mostrare lo stesso interesse verso tutti gli indesiderati "mostri" e a collezionare zelantemente i più piccoli stralci di informazioni sul loro conto. Il fatto è che il leggendario serpente di mare non appariva soltanto nelle pagine dei gazzettini e non esclusivamente nella stagione estiva, come vuole la credenza popolare, sebbene senza la minima giustificazione, ma era menzionato regolarmente nella letteratura scientifica del mondo intero. Per essere persuasi di questo è sufficiente dare un'occhiata agli indici di alcune delle più rispettabili pubblicazioni scientifiche dello scorso secolo.

Edward Newman (1801-1876), editore dello "Zoologist" di Londra, nella prefazione al primo volume del suo giornale (1847), riassunse molto bene quella che era, o almeno avrebbe dovuto essere, l'attitudine dei vari scettici dell'epoca: "Le comunicazioni e citazioni sul 'serpente di mare' sono ben meritevoli di un'attenta analisi: è impossibile supporre che tutti i dati su questo argomento siano fabbricati con lo scopo di ingannare. Un fenomeno naturale di qualche tipo è stato osservato: sta a noi cercare una soluzione soddisfacente piuttosto che insabbiare l'inchiesta per la paura del ridicolo [...] sicuramente non è necessario sollecitare troppo una sospensione del giudizio sul fatto che un mostro che può esistere nel mare non adorna le nostre collezioni".

Tra i primi sostenitori di ciò che sarebbe diventata la criptozoologia possono essere menzionati i grandi nomi della scienza. Di fatto lo scrissi nel mio lavoro "Le grand serpent-de-mer" (1965) sul particolare problema in questione, menzionando questi eminenti nomi della scienza che erano particolarmente interessati al grande serpente di mare. Comunque gli occhi dei naturalisti curiosi non erano focalizzati su questi mostri degli oceani soltanto durante l'ultimo secolo.

Nella sua imponente opera di dodici volumi che dedicò ai "Viaggi attraverso le regioni dell'equinozio del Nuovo Mondo" intrapresi dal 1799 al 1804 in compagnia dello scienizato francese Aime Bonpland (1773-1859), Alexander von Humboldt (1769-1859), il "padre della geografia fisica", espresse dubbi riguardo l'esistenza in Sud America di una grande scimmia antropoide sulla quale circolavano molte voci, ma nonostante ciò rifiutò categoricamente di considerarle semplici favole: "Nel trattarle con sufficienza, le tracce di una scoperta possono andare perdute, in filosofia naturale così come in zoologia, [...] i viaggiatori che visiteranno dopo di noi le missioni dell'Orinoco dovrebbero seguire la ricerca del "Salvaje" o "Great devil" dei boschi; e cercare di capire se si tratta di qualche specie sconosciuta di orso o di qualche scimmia molto rara [...] che può essere all'origine di queste singolari storie".

Che grande incoraggiamento per la criptozoologia!

 

In Gran Bretagna i fossili viventi diventano di moda.

Su un altro fronte, ed in modo leggermente diverso, i liberi pensatori della scienza si opposero presto al dogma di Cuvier oltre a quello che condannava gli zoologi-esploratori alla disperazione: il fatto che gli animali della "preistoria" creduti viventi solo in un remoto passato, non furono mai contemporanei all'uomo e che certamente non potevano essere sopravissuti sino alla nostra epoca per spiegare certe misteriose creature avvistate in tempi attuali.

Uno dei primi a prevedere possibili sopravvivenze di questo tipo fu il naturalista ed esploratore francese Jean Baptiste Bor de Saint Vincent (1780-1846), che è considerato uno dei pionieri della divulgazione delle scienze naturali. Nell'articolo "Animali Perduti" che scrisse per "L'encyclopedie moderne", pubblicata dal 1822 al 1830, non esitò a dire che, se le tradizioni nativo-americane dovevano essere credute, i mastodonti potevano essere ancora vivi (3), probabilmente attorno all'alta zona della St. Lawrence Valley, in Canada. Inoltre confermò le ipotesi del Presidente Jefferson circa la sopravvivenza del Megalonyx, che era stato nel frattempo correttamente identificato con un bradipo terrestre di grandi dimensioni.

Comunque fu specialmente in Inghilterra che gli uomini di scienza cominciarono a proporre una molteplicità di simili ipotesi. Nel 1844 ad esempio, il geologo scozzese Hugh Falconer (1808-1865), dopo avere scoperto in India i resti fossili di una vera tartaruga marina gigante (che nominò Collossochelys atlas), sfiorò l'ipotesi che ci fosse stata la possibilità che questo rettile del Mesozoico fosse sopravissuto sino ad epoca storica, divenendo così alla base delle leggende Hindu sulla tartaruga gigante che fa da supporto agli elefanti che a loro volta sorreggono la Terra.

Qualche anno dopo, nel 1848, un altro naturalista britannico di origine fiamminga, il Colonnello Charles Hamilton Smith (1776-1859), ipotizzò anch'egli dalle leggende indiane che i nativi americani avessero potuto vedere mastodonti e bradibi terrestri viventi, cosa che in seguito fu confermata da ritrovamenti archeologici e paleontologici. Va inoltre ricordato che in passato supportò la teoria secondo la quale l'unicorno era un animale reale, che ancora si aggirava nelle profondità dell'Africa nera. Teoria che condusse infine alla scoperta della varietà settentrionale del rinoceronte bianco (Ceratotherium simum cottoni) nel 1900.

Dopo C.H. Smith un terzo naturalista britannico, l'inglese Charles Carter Blake, autore di un manuale di zoologia per studenti che non dovrebbe essere dimenticato, rimase molto impressionato dalle tradizioni degli indios del Brasile sulla presenza di una grande scimmia antropoide nella loro regione: il Caypore. Egli scrisse nel 1863: "Nessuna scimmia simile esiste al giorno d'oggi, ma nel post-pliocene in Brasile, viveva una scimmia oggi estinta (Protopithecus antiquus) alta 120 cm, che forse ha vissuto sino all'epoca umana e diventata alla base di queste tradizioni".

In tutti questi casi gli scienziati non parlarono dell'attuale sopravvivenza di animali sconosciuti, ma della sopravvivenza di animali già conosciuti allo stato fossile, in un'epoca in cui erano creduti da tempo estinti, e forse tuttora in vita. Va detto come questi animali erano in un certo senso "nascosti" agli occhi della scienza, e la loro ricerca rivelò un cambio di mentalità davvero criptozoologico. Le idee di Falconer, Smith e Blake furono riprese con entusiasmo da Edward Bunett Tylor (1832-1917), il "padre dell'etnologia" (chiamata "sociologia antropologica" nei paesi anglosassoni).

Nel suo monumentale "Research into the early history of mankind" (1865), enfatizzò che le tradizioni popolari avevano preservato sino ai tempi odierni la memoria di certi animali "preistorici" creduti scomparsi prima dell'arrivo dell'Homo sapiens (oggi si può parlare con più precisione degli animali del basso Pleistocene). Questo particolare aspetto della ricerca criptozooologica fu mirabilmente definito nel 1886 dal geologo inglese Charles Gould, l'unico figlio del grande ornitologo e disegnatore di uccelli John Gould (1804-1881). Questo è quanto scrisse nel suo soprendente libro "Mythical Monsters":

"Non ho la più piccola esitazione nell'ipotizzare seriamente che molti dei così detti "animali mitici", che attraverso lunghe ere ed in tutte le nazioni sono stati fertili soggetti di favole e leggende, facciano legittimamente parte dello scopo e della materia di studio della storia naturale, e che devono essere considerati non come la conseguenza di desideri esuberanti, ma come creature un tempo davvero esistite, e di cui, sfortunatamente, sono filtrate a noi solo informazioni e descrizioni imperfette, probabilmente molto rinfrante attraverso le nebbie del tempo".

Lasciateci dire a questo riguardo che il naturalista irlandese Valentine Ball (1843-1895) aveva pubblicato nel 1884 due articoli nei quali tentò seriamente di identificare certe creature leggendarie dell'Antica Grecia come i pigmei, la manticora ed il grifone.

Una nuova onda si stava abbattendo sulla zoologia Britannica.

Primi passi nello studio degli animali nascosti in Germania e Francia.

Nello scorso secolo c'era anche grande interesse nei circoli scientifici tedeschi sulla possibile sopravvivenza di specie animali di media o grande taglia. Nel 1841, Heinrich Rathke (1793-1860), uno dei pionieri della scienza dello sviluppo animale, dichiarò che non c'erano dubbi sull'esistenza del "serpente di mare" norvegese. Nel 1858, sulla rivista "Die Natur", che lui stesso pubblicò a Jena, Karl Muller (1818-1899) dedicò una lunga serie di articoli al tentativo di identificare vari "animali mitici" e nel 1877 il grande araldo dell'evoluzionismo Fritz Muller (1821-1897), discusse a lungo non solo sul "tradizionale" "serpente di mare", ma anche su di un supposto "serpente d'acqua dolce", se così si può dire, che si credeva frequentasse i bacini delle Amazzoni e dell'Orinoco: il Minhocao. Secondo la sua opinione questo mostro acquatico poteva essere "un pesce gigante imparentato con il Lapidosiren e il Ceratodus", gli enigmatici "pesci polmonati".

Di fatto questa ipotesi era già stata già stata avanzata circa 50 anni prima, nel 1830, dall'esploratore e botanico Augustin Francois Cesar Prouvencal de Saint-Hilaire, meglio conosciuto con il nome di Auguste de Saint-Hilaire (1779-1853), che così dimostrò di essere uno dei primi collaboratori della criptozoologia. Anche in Francia fu mostrato un po' di interesse per le bestie favolose, cosa alquanto inaspettata nel Paese che dichiarava sé stesso la culla del razionalismo, e dove si pensava che esprimere incredulità fosse una manifestazione della Ragione.

Il Barone Henri Marie Ducrotay de Blainville (1778-1850), Professore di zoologia e anatomia comparata al Museo di Storia Naturale di Parigi, nel 1818 fu tra i primi sostenitori dell'esistenza del serpente di mare. Nel 1826 un distinto storico e giurista, Eusebe Bacomiere de Salvete (1771-1839), che il celebrato fisico Francois Arago (1786-1853) considerava "uno dei più eruditi tra gli uomini" del suo tempo, pubblicò un lungo e molto ben documentato studio intitolato "Des Dragons et des serpents monstrueux qui figurent dans un grand nombre de recits fabuleux ou historiques". E, sotto lo pseudonimo di A.Frédel, l'eminente malacologo Alfred Horace Bénédict Moquin-Tardon (1804-1863) dedicò una parte del suo libro postumo "Le monde de la mer" (1865) alla storia, a quel tempo ancora controversa, della scoperta di cefalopodi giganti.

La prima ondata di criptozoologia divulgativa.

Sarebbe sinceramente ingiusto non menzionare tutti quanti i divulgatori scientifici del XIX secolo che contribuirono tanto fortemente a rendere il pubblico cosciente del problema posto dai presunti "mostri" di ogni tipo.

Già nel 1888, in Gran Bretagna, un autore anonimo che si firmava "W", scrisse due articoli abbastanza esaustivi sul Kraken e sul Serpente di mare, che furono pubblicati nel "Blackwood's Magazine" di Edimburgo. Furono anche commentati nel successivo numero della rivista da parte di un certo "W.B.", che era di sicuro il caporedattore in persona, William Blackwood (1776-1834).

L'essenza del materiale fu preparata per apparire sul "Retrospective Review" di Londra, ma non vi fu mai pubblicata. Comunque la sua traduzione francese apparve sulla "Revue Britannique" di Parigi nel 1835. Lo stesso anno fu tradotto in tedesco da H.M. Malthen nel suo "Bibliothek der neusten welttkunde", mentre il rimaneggiamento della versione pubblicata sulla "Revue Britannique" fu nel frattempo eseguito da Jules Francois Leconte (1814-1864) per le pagine del "Musée des Familles" di Parigi, dove apparve spezzettato nel 1836 e 1837.

Nel 1849 il poeta americano Eugene Batchelder (1822-1878) si entusiasmò al punto di comporre, sotto lo pseudonimo di "Wave", il "Romanzo del serpente di mare o ittiosauro" supportato da antichi e moderni scritti sull'argomento, così come lettere provenienti da uomini di scienza e da capitani di navi mercantili. In seguito nel 1863, un giovane membro della Geographical and Antropological Societies of Great Britain, William Winwood Rede (1838-1875) pubblicò con il titolo di "Savage Africa" il racconto di un recente viaggio attraverso il continente nero. Il suo lavoro contiene non soltanto informazioni di prima mano sul gorilla, che nel frattempo era già stato descritto, e su unicorni, uomini con la coda, etc., ma anche alcuni pensieri brillanti che possono essere considerati come i principi fondamentali della criptozoologia. Per esempio:

"Può essere considerato come un valido principio, che l'uomo non può "originare" nulla, che le bugie sono sempre verità abbellite, distorte o capovolte. Esistono altri fatti oltre a quelli che galleggiano in superficie e il dovere dei viaggiatori e degli storici è di filtrare e pulire i grani d'oro della verità dalla sporcizia delle favole".

Egli scrive anche:

"L'incredulità è adesso divenuta così volgarmente folle, che si sarebbe quasi tentati, al di fuori del semplice astio nei confronti di una moda, di correre all'estremo opposto. Ad ogni modo mi accontenterò di citare prove riguardanti alcuni sconosciuti, favolosi e mostruosi animali dell'Africa, senza dare una personale opinione in una direzione o in un'altra, preservando soltanto la mia convinzione che esiste sempre un fondo di realtà anche nelle favole più fantastiche e che, rigettando senza indagare quello che appare incredibile, qualcuno getta al vento un minerale grezzo dove altri possono invece trovare un gioiello. Un viaggiatore può non credere a niente, per la sua volontà di scoprire tanto spesso delusa; e può credere a tutto, per avere visto tante cose incredibili; può dubitare, può investigare, e poi può forse scoprire".

Nel 1879 l'astronomo inglese Richard Anthony Procton (1837-1888) seguì queste direttive alla lettera nello scrivere i capitoli sui serpenti di mare e le sirene per il suo "Pleased Ways of Science". Inoltre, il celebre e popolare naturalista dell'epoca Vittoriana Philip Hunry Gosse, (1880-1888) era tornato ancora sulla questione degli animali che restavano da scoprire. Nel "The Romance of Natural History" (1860) egli trattò non soltanto del caso del kraken e del serpente di mare, da lui definito "il grande sconosciuto", ma anche di quelle creature terrestri non ancora descritte, come l'unicorno africano e le scimmie antropoidi del Sud America, che continuano ad intrigarci sino ad oggi.

Numerose storie circolavano nel mondo su tali "scimmie-uomo", così come "uomini-scimmia", diventati tanto popolari per via della rivoluzione darwiniana. Sicuramente esistevano racconti dell'antichità sui gorilla dell'ammiraglio cartaginese Annone, sul Soko scoperto da Linvigstone nell'est del Congo, su di una spaventosa creatura villosa in Cina, dalla risata ammaliante di giovane ragazza, il Fesse (in realtà Fei-Fei) e sul Susemete dell'Onduras (più correttamente Sisemite, dalla dicitura nel linguaggio Nahutal "tsitsimitl").

Tutti questi racconti portarono lo scrittore Philip Stewart Robinson (1847-1902), nel suo "Noah's Ark" (1882) a riportare quanto detto dal Prof. Thomas Huxley, che era soprannominato "il mastino di Darwin":

"se soltanto potessimo viaggiare domani in una terra sconosciuta, non sono del tutto sicuro che non sarebbe possibile uscire da qualche foresta primordiale mano nella mano con l'anello mancante".

Il fascino delle bestie favolose

Nel frattempo in Francia l'autore folklorista A.Leroux de Lincy (1806-1869) si era sentito di dedicare uno dei capitoli introduttivi del suo libro "Livres des Légendes" (1836) ai racconti del folklore riguardanti gli animali e ispirato a questo riguardo dall'articolo della "Revue Britannique" di giugno 1835, che lui aveva già letto, esaminò con interesse "gli animali apocrifi, tutti questi strani mostri, entità soprannaturali, la cui esistenza era considerata oltre ogni dubbio autentica all'inizio del XVI secolo della nostra era". Non si sentì certo costretto a dire che draghi, serpenti volanti, grifoni e leviatano erano bene e davvero esistiti in altre epoche, com'era stato poi provato dalle ossa rinvenute nella terra e che scienziati come Cuvier utilizzarono per ricostruire l'anatomia di simili mostri.

Trenta anni dopo, il popolare scrittore scientifico Armand Landin (nato nel 1844) dedicò un intero libro ai vari "Monstres Marins" (1867) nella molto diffusa "Bibliothique des merveilles" diretta da Edouard Charton (1807-1869), creatore fondatore del "Tour de Monde", il celebrato "Nouveau Journal des Voyages".

In Germania un altro autore popolare, Emil Arnold Budde (1842-1921) si cimentò a lungo con il problema del serpente di mare e la sua controparte d'acqua dolce, il Minhocao, nel suo "Naturwissenschaftilche Plauderein" (1891).

In Inghilterra la realtà degli animali favolosi sperimentò un'ondata di popolarità senza precedenti. Il futuro editore di "Land And Water", Francis Trevelyan Buckland, chiamato Frank (1826-1880), non perse mai occasione nei quattro successivi volumi del suo "Curiosites of Natural History" (1857-1865) di parlare del kraken, del Bunyp australiano, dei serpenti villosi e di Moa sopravvissuti. Un distinto autore di vari argomenti, Frederic Edward Hulme (1841-1909), dedicò un'intera opera "Natural Histroy Lore and Legen" (1895), alle favolose bestie dell'antichità e del Medioevo ed ai loro "vari gradi di attendibilità". Infine lo scrittore John Timbs (1801-1875), nel suo "Eccentricities of the animal creation" (1896), allo stesso modo trattò il problema riguardo la realtà di due particolari "mostri": la sirena e l'unicorno.

E' appropriato enfatizzare che nell'ultimo secolo, la maggior parte di questi naturalisti e scrittori divulgativi si limitava a riportare quanto sentito su tutti questi animali misteriosi e a conclusioni sulla probabile o meno possibilità della loro esistenza. Essi non si esposero con un'opinione personale sulla loro identità. Se i loro lavori devono avere un nome scientifico, si potrebbe parlare di criptozoografia (descrizione degli animali misteriosi), piuttosto che di criptozoologia.

Verso una valutazione più scientifica dei presunti mostri

Soltanto una manciata di scienziati si prese il rischio, nell'ultimo secolo, di studiare come questo o quell'animale nascosto poteva essere classificato per determinare in quale categoria zoologica andasse inserito. Alcuni di loro ad esempio, accettarono ciecamente il fatto che il serpente di mare potesse semplicemente essere considerato un autentico Ofide di colossali dimensioni. Nondimeno quando i primi scheletri fossili dei grandi rettili del Secondario furono scoperti e la loro morfologia ricostruita, la maggioranza dei più avventurosi zoologi collegarono il serpente di mare a rappresentanti acquatici di questa Classe, tra tutti il mosasauro, che aveva l'aspetto di un enorme serpente con due paia di pinne ed il plesiosauro, che somigliava vagamente a una grande tartaruga di mare dal lungo collo. Quest'ultima ipotesi, che in seguito divenne un vero e proprio classico, fu supportata nel 1833 dal geologo inglese Robert Bathewall (1768-1843) nel suo "Introduzione alla Geologia".

Comunque siamo obbligati a rammentare, quando si parla di serpenti di mare, che non si tratta affatto di serpenti non più di quanto gli elefanti marini siano elefanti o i ratti di mare siano ratti (4).

Nel mese di Gennaio 1835 Thomas Thompson (1788-1874), uno dei vicepresidenti della Hull Literary and Philosophical Society, presentò alla stessa un articolo dal titolo "An attempt to ascertain tha animals designated in the scriptuters by the names of Leviathan and Behemoth". Alla fine di uno studio estremamente ben documentato, Thompson non esitò a concludere che il primo animale poteva essere identificato con il Megalosauro carnivoro di William Buckland e Cuvier, e il secondo con l'erbivoro iguanodonte dello stesso Cuvier e Gideon Mantell. In breve, riconobbe in questi animali dei dinosauri, piuttosto distanti l'uno dall'altro.

Di fatto questo primo tentativo di identificare le bestie favolose aveva più la natura di un tirare a indovinare piuttosto che di una diagnosi zoologica, essendo basato soltanto (e frettolosamente) sui piuttosto vaghi profili delle creature in questione.

Un naturalista inglese, il Reverendo John George Wood (1827-1899), si distinse dagli altri quando, in occasione di una visita negli Stati Uniti, realizzò un articolo sul serpente di mare pubblicato sull'"Atlantic Monthly" di Boston, nel giugno del 1884. Si tratta senza dubbio del più "penetrante" mai scritto a quel tempo sull'argomento. Alla luce di un ragguardevole studio d'anatomia comparata, Wood concluse che, sulla base dei movimenti e del comportamento, così come della morfologia, il serpente di mare tanto spesso osservato lungo la costa del New England, "non appartiene ai sauri, ma ai cetacei, se non persino agli zeuglodonti (5), con molte affinità con queste creature".

Va detto che all'inizio del XIX secolo, quindi ben prima del Reverendo Wood, due naturalisti anticonformisti avevano già tentato di trattare con maggiore serietà il problema del più famoso mostro marino, affrontandolo con rigore e metodo scientifico: Pierre Denys de Montfort (1764-1820) e Costantine Samuel Refinesque (1783-1840). Erano entrambi nati in Francia, ma il secondo divenne cittadino americano.

Denys de Montfort lavorava al Museo di Storia Naturale di Parigi, dove aveva il compito di scrivere i volumi relativi ai molluschi per completare le opere di Buffon pubblicate da Charles Nicholas Sigisbert Somini de Mononcourt (1751-1821). Nel secondo dei tre volumi in programma, che fu pubblicato nell'anno X del calendario rivoluzionario (1801-02), Denys descrisse a lungo due cefalopodi di proporzioni realmente giganti. Chiamò il primo "l'Octopus kraken", riferendosi a Bishop Pontopiddan (sappiamo ora che non si tratta di un vero octopus ma di un enorme calamaro conosciuto con il nome di Architeuthis) ed il secondo "Octopus colossale" che fu descritto nel 1897 sotto il nome di Octopus giganteus da Addison Emery Verrill (1839-1926), sebbene successivamente da lui considerato come "una parte di balena". Come apprenderemo in seguito l'Octopus gigante fu riabilitato soltanto nel 1971 (6).

Il secondo naturalista che ebbe invece la temerarietà di descrivere un "mostro" marino in accordo con le regole della nomenclatura zoologica fu Refinesque, che gli storici della scienza hanno definito "il più ragguardevole personaggio degli annali della scienza americana", secondo le parole di David Starr Jordan (1851-1931). Donald Culross Peattie (1898-1904) scrisse di lui "tra i naturalisti che abbiano mai lavorato nel continente americano è il solo che può essere definito un Titano".

Fu davvero il primo, nel 1817 ed ancora nel 1819, a pubblicare una "Dissertation on water snakes, sea snakes and sea serpent" con estremo rigore scientifico. Dopo avere esaminato tutte le prove disponibili al riguardo in quel tempo, egli concluse che, per via delle loro caratteristiche anatomiche, esistevano quattro tipi diversi di serpenti di mare, due dei quali non erano nient'altro che enormi veri serpenti di taglia colossale, mentre gli altri due dei pesci, uno dei quali apparentemente imparentato con le anguille Sinbranchidi. Da questa a volte superficiale diagnosi, un elemento essenziale che può essere valorizzato su tutti è il fatto che Rafinesque diede al serpente di mare del New England il nome linneano scientifico di Megophias monstruosus.

Denys de Montfort e Rafinesque furono talmente criticati, ridicolizzati, insultati ed emarginati dai loro colleghi per via delle loro pubblicazioni, che entrambi finirono per morire nella più grande miseria, il primo di alcool nei bassifondi di Parigi, il secondo devastato dal cancro in una bicocca di Philadelphia. Entrambi erano 56enni.

Questi due geni dal destino infausto meritano di essere considerati come due veri precursori della scienza degli animali nascosti.

La nascita della criptozoologia

E' fuori discussione che tutte le nuove scienze e tutte le nuove e originali discipline scientifiche sono perlopiù chiaramente definite dal loro metodo piuttosto che dai loro obbiettivi. Se il mero scrivere storie di intrattenimento sugli animali non rende uno scrittore uno zoologo, così riportare incontri con animali non identificati di qualunque tipo non fa di un reporter un criptozoologo. Questa è la ragione per cui la pubblicazione nel 1892 dell'opera "The Great Sea-Serpent" dello zoologo Olandese Antoon Cornelis Oudemans (1858-1943) costituisce il passo più decisivo verso la costruzione della criptozoologia.

Senza dubbio stimolato dalla brillante dissertazione del Reverendo J.G. Wood, Oudemans si adoperò per ottenere informazioni più complete e precise, non solo dell'anatomia esterna del serpente di mare, ma anche della sua fisiologia, cioé le funzioni degli organi, sulla sua etologia, cioé il comportamento, così come sulla distribuzione geografica, in modo da descrivere la sua posizione nel Systema Naturae con la massima precisione possibile.

Per raggiungere il suo scopo utilizzò per prima cosa il metodo statistico già adoperato dal fisico austriaco Ernst Florens Chladni (1754-1827) per provare l'origine extraterrestre dei meteoriti. Quest'ultima fu una scoperta rivoluzionaria per l'epoca, sull'origine di queste pietre che per centinaia di anni si era vociferato cadessero dal cielo e che erano una spina nel fianco della maggior parte degli uomini di scienza, come gli "oggetti volanti" lo sono al giorno d'oggi. Quello che Chladni fece per le "pietre del cielo", Oudemans lo fece per il serpente di mare.

Per prima cosa e con grande cura e pazienza collezionò dai libri, riviste e quotidiani il maggior numero possibile di rapporti (187 in tutto), eliminando successivamente i falsi palesi e i casi di possibili male interpretazioni di animali noti. Dopo questo estrasse dai rimanenti rapporti tutti i dettagli disponibili che poi comparò sistematicamente uno ad uno, per vedere se collimavano oppure no.

Infine disegnò una sorta di identikit dell'animale che era stato tanto spesso osservato. In questo modo realizzò che la creatura sembrava una sorta di otaria o foca dal lungo collo e dalla lunga coda, che Oudemans descrisse con il nome di Megophias megophias. Il nome del Genere fu preso con le dovute citazioni da Rafinesque.

La criptozoologia era infine nata. Il grande lavoro di Oudemans può essere considerato come il vero punto di partenza della nuova disciplina, così come "Recherches sur le ossemens fossiles" di Cuvier segnò l'inizio della paleonotologia come scienza. Le idee dello scienziato olandese furono presto adottate in Europa da qualche rispettabile zoologo, come l'oceanografo austriaco Emil Von Marenzeller (1845-1918), all'inizio del 1894, e successivamente dal suo collega franco-rumeno Emile G. Racovitza (1868-1947) del laboratorio di biologia marina di Banyes-sur-mer e dal mammologo francese e Professore del Museo Nazionale di Storia Naturale, Edouard Louis Trouessart (1842-1927).

Gli ultimi due abbracciarono totalmente le tesi di Oudemans nel 1903, dopo numerosi avvistamenti di serpenti di mare dal 1893 in poi, sulle coste dell'Indocina dagli ufficiali ed equipaggi di numerose navi della marina francese. Dieci anni dopo, nel 1913, il Professore Edmond Perrier (1844-1921), direttore del Museo di Parigi, dichiarò con notevole rispetto, che il libro di Oudemans fu "un vero e proprio atto di coraggio".

Comunque emerse che nell'adempimento delle sue ricerche lo zoologo olandese fu leggermente preceduto (fatto scoperto soltanto di recente) da un grande etnologo Svedese, Gunnar Olof Hyltén-Cavallius (1818-1889). Dal 1883 in poi infatti, quest'ultimo intraprese una vasta investigazione sistematica degli animali localmente conosciuti come "Drake" (draghi) o "Lindorn" (viverne) che si diceva essere stati osservati in qualche lago della regione di Kronoberg, oggi nota come Yen, del Rottmen e dello Helgasjon, nella parte meridionale del Paese.

Alle fine di questa indagine, nel 1885, pubblicò un pamphlet intitolato "Om draken eller lindornen" (sui draghi e viverne), che conteneva un totale di 48 dettagliate testimonianze, ma nel quale non azzardò nessuna ipotesi sull'identità degli animali in questione. Sotto questo aspetto il suo lavoro non può rivaleggiare con quello di Oudemans.

Nel 1899, seguendo la scia dell'opera di quest'ultimo, un altro ricercatore svedese, l'insegnante di collegio Peter Olsson (1838-1923), fece la sua personale indagine sui "mostri", ma confinata al lago Storsjo, nello Jamtland, nella parte settentrionale del Paese. Dallo studio di 22 credibili testimonianze che raccolse, concluse nel suo piccolo libro "Storsjoodjuret, framstallning of fakta och utrednins" (Il mostro dello Storsjo, un'esposizione dei fatti e la soluzione), che la creatura era un pinnipede sconosciuto, simile alla Megophias di Oudemans, ma che viveva in acqua dolce. Questo fu, di fatto, il primo vero tentativo di risolvere scientificamente il caso degli animali non identificati dei laghi, molto pirma che il famoso "mostro" di Loch Ness entrasse in scena nel 1933.

Il primo grande successo dell'approccio criptozoologico

Oggi è spesso affermato che i criptozoologi perdono il loro tempo e spendono energie in un'inutile caccia all'oca selvatica, dato che nessun animale sconociuto è mai stato scoperto da loro. Un simile blaterare tradisce una totale ignoranza della storia della zoologia. Ben prima che un metodo di ricerca fosse proposto da Oudemans, e prima che questo metodo venisse applicato sistematicamente, qualche spettacolare vittoria era già stata empiricamente documentata.

Il primo ragguardevole successo dell'approccio criptozoologico fu la scoperta del tapiro di montagna da parte del Dottor. Francois Désiré Roulin (1796-1874). Ecco cosa questo naturalista viaggiatore, che era anche assistente bibliotecario dell'Institute de France, aveva rivelato il 9 febbraio 1829 all'Academy of Sciences:

"Molto prima di informarmi sulla seconda specie di tapiro americano, avevo avuto il sentore della sua esistenza, solamente, devo ammettere, sulla base di generici oltre che convincenti rapporti dei vecchi storici spagnoli. Molti di questi scrittori infatti attribuivano al tapiro una spessa pelliccia di pelo marrone nerastra, carateristica che non combacia con il tapiro conosciuto dai moderni naturalisti, che è quello che vidi io stesso nelle grandi pianure delle basse valli che giacciono appena sopra il livello del mare".

Questo dimostra piuttosto chiaramente come il primo compito del criptozoologo sia un'intensiva ricerca bibliografica, paziente ed a volte tediosa, sempre divoratrice di tempo, di racconti di viaggiatori ed esploratori, o semplici rapporti di caccia e pesca, così come antiche ed esotiche cronache e vecchie pubblicazioni di naturalisti stranieri.

Quando Roulin propose di chiamare la nuova specie Tapirus pinchaque, fu perché il secondo nome era quello del favoloso animale del folklore indios della regione Popayan della Colombia (in poche parole Pinchaque o Panchique, che sarebbe sinonimo di "fantasma villoso" o "lupo mannaro"). Il fisico francese era convinto che la credenza in questo mostro molto temuto fosse basata sull'esistenza di un raro e poco conosciuto tapiro delle alte Ande.

Si spinse inoltre così lontano da suggerire che il tapiro bianco e nero dell'India fosse in egual misura la base delle leggende sul grifone dell'antica Grecia.

A questo aggiunse il seguente appropriato commento, che enfatizza il secondo importante compito del criptozoologo, che è l'attenta e paziente analisi dei miti, leggende e folklore di tutti i popoli della Terra, allo scopo di spogliare i "mostri" per una eventuale successiva demitificazione.

"Avendo pronunciato le parole "animali favolosi" io sento il bisogno di giustificare me stesso per avere impegnato l'Accademia con considerazioni tanto estranee da quelle che normalmente la riguardano. Comunque è nondimeno vero che questo tipo di ricerca non deve rimanere escluso dalle Scienze Naturali. E' impossibile tracciare la storia degli animali attraverso i tempi antichi senza avere separato in ogni momento i fatti reali dalle favole che si raccontano sul loro conto. Se noi dobbiamo continuare a farlo è perché questo lavoro di separazione è andato avanti, senza che ce ne rendessimo conto, per centinaia di anni".

Un secondo notevole successo della criptozoologia, e di natura molto più sensazionale viste le circostanze, fu la descrizione nel 1856 del calamaro gigante da parte del ricercatore danese Johan Japetus Steenstrup (1813-1897). Questo scienziato fu il primo a stabilire, sulla base della sola documentazione storica, che il kraken, lo spauracchio tentacolato del folklore scandinavo, un mostro ancora più incredibile dello stesso serpente di mare, altro non era che un cefalopode di enormi dimensioni. Secondo le considerazioni che per primo espresse nel 1849, non si trattava di un octopus, come Denys de Montfort aveva supposto, ma di un calamaro smisurato, come i due grandi esemplari che secondo i vecchi archivi si spiaggiarono sulle coste dell'Islanda nel 1639 e nel 1790.

Il naturalista danese suggerì in seguito, nel 1855, che un altro leggendario mostro marino, il Monachus marinus di Rondelet, fosse egualmente basato su di un grande calamaro che fu catturato con le reti in Svezia nel 1550. Ed infine, quando "mise le mani" sugli enormi becchi di un esemplare trovato morto su una spiaggia di Jutland, in Danimarca, ed un altro leggermente diverso, di un esemplare galleggiante in mare tra Bermuda e Carolina, si sentì giustificato nel descrivere la specie scandinava sotto il nome di Architeuthis monachus e quella Atlantica con il nome di Architeuthis dux.

Di vittoria in vittoria

Il terzo successo capitale della criptozoologia causò scalpore in tutto il mondo all'inizio del 1900.

Nel 1891 il celebre giornalista ed esploratore Gallese Henry Morton Stanley (1841-1904) riportò per puro caso in uno dei suoi libri che i pigmei Wambutti "conoscono asini che chiamano atti. Dicono che a volte li catturano con delle trappole".

Queste poche righe indussero Sir Harry Hamilton Johnston (1858-1927), allora governatore dell'Uganda, ad organizzare una paziente, ma persistente ricerca che si conlcuse dieci anni dopo, di un animale simile ad una zebra di foresta: la zebra come tutti gli equidi vive nella savana, dopotutto non avrebbe senso per loro frequentare una foresta!

Comunque questo non lo fermò dal continuare la sua ricerca sino a riuscire a descriverla, nel 1909, sotto il nome di Equus johnstoni, tramite lo zoologo inglese Philip Lutley Sclater (1829-1913), sulla base di due pelli striate.

Fu soltanto in seguito allo studio di una carcassa completa, e specialmente di due crani, che un altro zoologo inglese, Sir Edwin Lankester (1847-1929) fu obbligato a concludere che l'atti, meglio conosciuto localmente con il nome di o-api od okapi, non era una zebra, ma bensì una sorta di giraffa dal collo corto, striata soltanto sul posteriore. Sembrava essere strettamente imparentata ad un fossile greco del Miocene, l'Helladotherium. Ben meritando un genere separato da quest'ultimo, la protogiraffa sopravvissuta divenne l'Okapia johnstoni. L'annuncio di questa scoperta non solò causò turbamento nei circoli della zoologia, ma anche nelle pagine dei giornali di tutto il mondo.

La quarta maggiore vittoria della criptozoologia richiese più tempo per essere accettata (più di un secolo) e c'è ancora chi non si è preso la briga di informarsi sul problema, e che continua a dubitare di esso. Sto parlando della rivelazione della sopravvivenza ai nostri giorni dell'uomo di Neanderthal (7).

Di fatto un vago accenno di ciò fu fornito nel 1863-64 dall'etnologo svedese Hylten-Cavallius che non era ancora soddisfatto del suo contributo alla criptozoologia dando la caccia ai mostri lacustri del suo Paese. Precedentemente, nel suo trattato etnologico sulla Svezia, "Warend Och Wirdane, ett Forsok i Svensk Ethnologi", egli aveva avanzato l'audace ipotesi che i Troll, gli uomini selvatici villosi del folklore scandinavo, potevano rappresentare il ricordo nella mente popolare dell'esistenza, nell'età della pietra, di razze primitive molto diverse dalla nostra.

Bisogna enfatizzare che a quel tempo, il cranio di uomo di Neanderthal era già stato dissepolto nel 1856, ma che questa arcaica forma umana fu generalmente considerata una distinta e autentica specie preistorica soltanto nel 1886, a seguito della scoperta a Spy, in Belgio, di scheletri inequivocabilmente databili al Pleistocene.

Ciò impartisce un connotato davvero profetico all'opinione espressa da Hyltén Cavallius.

A dire il vero, essendo questo lavoro stato plubblicato soltanto in svedese, le ipotesi che conteneva ebbero solo un piccolo impatto. Comunque pochi antropologi ed etnologi erano preparati ad accettare prontamente che le tradizioni orali potevano essere state tramandate attraverso qualche decina di migliaia di anni (8). Per accettare l'idea che i loro contemporanei potessero ricordare uomini dell'era paleolitica fu neccessario attendere che lo storico sovietico Boris Fedorovich Porshnev (1905-1972) esponesse, nel 1963, l'ipotesi della soppravivenza di neandertaliani sino a tempi storici ed anche al giorno d'oggi. Se, come raccontavano le antiche cronache, uomini villosi erano ancora avvistati in Europa nel XVIII secolo, specialmente nell'isola svedese di Oland, allora poteva essere probabile che queste creature fossero all'origine delle credenze nei Troll.

Hiltén Cavallius lo aveva percepito chiaramente, ed una straordinaria scoperta scientifica lo avrebbe sostenuto in pieno. Nel 1968 infatti, mentre mi trovavo in visita negli Stati Uniti in compagnia del mio collega ed amico Ivan T. Sanderson, ebbi l'occasione di esaminare a lungo il cadavere congelato di un uomo villoso quanto una scimmia antropomorfa che esibiva numerosi tratti anatomici sconosciuti nell'Homo sapiens.

Questo esemplare fu importato illegalmente nel Paese dal Vietnam, dove era stato ucciso. Il suo studio permise di chiarire che si trattava di una forma altamente specializzata di Neandertaliano, che descrissi sotto il nome di Homo pongoides (sp. Seu Sub sp. Nov). Questa scoperta provò in maniera incontrovertibile la legittimità dell'ipotesi di Porshnev, secondo cui gli ultimi Neandertaliani continuavano ad esistere in piccolo numero da un capo all'altro dell'Asia. Inoltre come evidenziato dalla documentazione storica dimostrò che la specie Homo neanderthalensis, che era ad ogni modo estremamente polimorfica, era sopravvissuta in Europa molto più a lungo di quanto si credesse e che, in tempi storici, era potuta essere la causa della nascita di leggende sugli uomini selvaggi e villosi, inclusi i Troll scandinavi.

Il lento progresso di questa esemplare avventura criptozoologica, dalla collezione di semplici favole largamente sparse attraverso tutta l'Eurasia all'accumulo di testimonianze dirette contemporanee, e coronata dallo studio di un esemplare campione, è raccontata in dettaglio nell'opera che io e Porshnev pubblicammo in collaborazione nel 1974. L'"Homme de Neanderthal est toujours vivant". Ancora una volta, la nuova disciplina aveva provato che la criptozoologia poteva velocizzare la scoperta di animali sconosciuti.

La criptozoologia ha conosciuto anche fallimenti.

Così come il Presidente Jefferson si sbagliò nell'attribuire gli enormi artigli del suo Megalonyx, un grande bradipo di terra, a un felino gigante delle tradizioni indiane, così il naturalista italiano Gian Giuseppe Bianconi (1809-1879) fu in errore relativamente all'attribuire le uova e le rimanenze scheletriche dell'Aepyornis del Madagascar al favoloso uccello Roc dei "Viaggi di Sinbad", che era un enorme rapace assetato di sangue.

Lasciateci riassumere brevemente i fatti. A partire dal 1832 si cominciarono a raccogliere dal Madagascar numerosi frammenti ed anche pezzi interi di uova di una taglia senza precedenti. Le più grandi misuravano dai 32 ai 34 centimetri di lunghezza e dai 22 ai 23 centimetri di diametro: risultavano grandi il doppio delle uova di struzzo. Per un po' si credette che fossero uova di mostruosi dinosauri, ma quando furono trovati i primi resti subfossili degli scheletri delle creature che le avevano deposte, l'evidenza fu accettata: esse provenivano da uccelli giganti.

Nel 1851 Isidore Geoffrey Saint-Hilaire (1805-1861) diede a questa creatura il nome di Aepyornis maximus, che significa "il più grande degli alti uccelli". Questo naturalmente portò alla memoria di certi naturalisti i racconti arabi e persiani che avevano letto in gioventù come "Le mille e una notte" e più specificatamente "I viaggi di Sinbad". Nel secondo di questi il leggendario marinaio, ritrovatosi per disattenzione su di un'isola ricoperta di lussuriosa vegetazione, scoprì presto la presenza di un uovo di prodigiosa grandezza che "avrebbe potuto misurare circa cinquanta passi". Finalmente vide lui stesso l'uccello, di incredibile grandezza, proprio seduto su di esso.

I membri dell'equipaggio gli avevano spesso parlato di un terribile volatile, che chiamavano Roc, capace delle azioni più incredibili. Per esempio quando un rinoceronte squartava un elefante, "può afferrare entrambi con i suoi artigli e portarli al nido per nutrire i suoi piccoli". I più eruditi naturalisti ricordarono poi che, nei suoi racconti di viaggio del XIII secolo, il navigatore veneziano Marco Polo riportò che su certe isole "a sud del Meidagascar" vivevano i grifoni, simili ad enormi aquile dall'apertura alare di 30 piedi, sufficientemente forti da sollevare un elefante dal suolo. In Madagascar questi grifoni erano conosciuti con il nome di Roc.

Non servì nient'altro per suggerire a un mondo sbalordito che l'Aepyornis, la cui esistenza era stata provata, altro non era che l'uccello Roc delle leggende del medio oriente. Ma in Madagascar non erano mai vissuti elefanti e rinoceronti, e comunque Marco Polo aveva situato i grifoni nelle isole che si trovavano oltre il "Meidagascar". Infine non è del tutto certo che quello che chiamava con questo nome fosse l'attuale Madagascar: alcuni infatti sostengono possa trattarsi del Mogadiscio (9), in Somalia.

Ma non esiste alcun appello a tutto questo: l'equivalenza di Roc ed Aepyornis è entrata per sempre nel dominio delle idee acquisite ed è risaputo quanto sia impossibile sbarazzarsi di quest'ultime.

Tutto questo non sarebbe stato nulla di tanto serio se questa idea sbagliata non fosse entrata come una fissazione nella mente del Professor Bianconi, dell'Accademia Reale di Bologna. Tra il 1862 ed il 1878 pubblicò non meno di diciotto monografie per dimostrare che le ossa delle zampe dell'Aepyornis non appartenevano ad un Ratite (gli uccelli corridori, come lo struzzo, il casuario ed il famoso Moa), ma ad un uccello rapace simile al condor. Nel 1913 il paleontologo francese Louis Momier riassunse molto bene la davvero eroica presa di posizione del suo collega italiano:

"sebbene partendo da un'idea preconcetta e proseguendo per la strada sbagliata, ha nondimeno e molto accuratamente messo in evidenza diverse interessanti particolarità anatomiche: spessore e brevità del femore, condili molto diversificati, potenti inserzioni muscolari, vertebre cervicali più lunghe che larghe, caratteristiche che non esistono negli altri uccelli corridori e che possono dare ad una prima impressione la conferma dell'ipotesi di un vulturide".

Quando fu scoperta anche una tibia, Bianconi, facendo un piccolo passo indietro, sottolineò nonostante tutto che questa mostrava un eccessivo sviluppo dei muscoli estensori opposto all'atrofia dei flessori, che sono invece equamente sviluppati negli uccelli corridori per facilitarne la marcia. La predominanza degli estensori nell'Aepyornis era vista come un'agevolazione nel compiere un balzo prima di spiccare il volo.

Se oggi appare totalmente assurdo che qualcuno avesse potuto avere il sospetto che il più grande degli uccelli conosciuti (è stato stimato che il suo peso poteva avvicinarsi ai 440 kg) fosse capace di volare, non andrebbe dimenticato che, nello scorso secolo, gli unici frammenti reperibili erano rappresentati da resti delle zampe e del bacino. Nel 1903 Guillume Grandidier (nato nel 1873), il figlio del grande esploratore del Madagascar Alfred Grandidier (1836-1921), fu capace di scrivere: "abbiamo l'esatta idea di quello che era l'Aepyornis, sebbene non sia ancora possibile ricostruirne uno scheletro assolutamente completo".

Il commento del Dott. Momier mostrò chiaramente che l'idea di Marconi, di ispirazione criptozoologica, sebbene errata non aveva nulla di ridicolo, ma al contrario mostrava eccezionali conoscenze anatomiche. Il grande naturalista italiano morì nel 1879, prima di rendersi conto del suo errore. Ma esisistono anche fallimenti che conferiscono onore.

La "nuova onda" della criptozoologia

Sin dall'alba del XX secolo, specialmente per il sensazionalismo causato dalla scoperta dell'Okapi, la ricerca del quale si era basata soltanto su voci, ma che fu portata avanti intensivamente, con tenacia e diligenza, un grande numero di commentatori di storia naturale ed anche qualche zoologo professionista iniziarono a dedicare articoli o parti di libri agli animali misteriosi che sembravano ancora in attesa di essere scoperti.

Possono qui essere menzionati alcuni divulgatori scientifici come Henri Eugène Victor Coupin (nato il 1868), per il suo libro "Les animaux excentriques" (1900); il giornalista reporter Victor Forbin (nato nel 1864), per un articolo su "Sciences et voyages" sulla possibile sopravvivenza di certi organismi fossili (1920), riassunto nel 1922 per "Je sais tout", dal fondatore della speleologia francese Norbert Casteret (1897); sua moglie Elisabeth, per la serie di articoli sugli animali "immemorabili" anch'essi pubblicati su "Sciences et voyages" nel 1926; ed infine Louis Marcellin, uno degli eruditi pilastri del "Chasseur Francais" di Saint-Etienne, per un articolo sugli animali ancora sconosciuti che apparve su "Sciences et Voyages" nel 1949 e che affrontava il problema con grande completezza.

In Gran Bretagna l'argomento fu affrontato da un ampio ventaglio di gentiluomini provenienti dalle più svariate discipline: il grande cacciatore ed esperto in armi da fuoco Walter Winans (1852-1920); l'entusiasta promotore dell'atletica, il Capitano Frederik Ammesly Michael Webster (nato nel 1886); il Capitano Wiliam Lionel Hichens (1874-1940) che faceva parte del Information and Administration Services dell'Africa dell'est e che di conseguenza era inizialmente celato con lo pseudonimo di "Fulehm", per i suoi articoli sugli animali misteriosi nel 1927 e 1937; ed infine, che trio di prolifici autori, Harold Tom Wilkins (1891-1960), Alfred Gordon Bennet (1901-1962) ed Eric Frank Russel (1905-1978), tutti discepoli del grande "anomalista" americano Charles Hoy Fort (1874-1932).

In questo lotto non vanno dimenticati pochi veri naturalisti interessati all'argomento: il franco-canadese Henry Tilmans, che era di origini belghe e per questo anche conosciuto come Henry Tielmans, per i suoi articoli su "Raretés Zoologiques", pubblicati dal 1905 sul "Naturalist Canadien"; il catalano Rossend Serra i Pagès (nato nel 1863) per il suo studio del 1923 intitolato "Zoologia fantastica"; l'ornitologo francese Louis Lavauden per la sua ricerca, pubblicata nel 1931, sull'identità degli animali leggendari del Madagascar; il molto popolare scrittore in materia di scienze naturali in Francia, René Thévenin (1877-1967), per tutti i suoi articoli largamente pubblicati nel 1930; ed infine il minerologo australiano Charles Anderson (1876-1944), direttore dell'Australian Museum, per il suo articolo del 1934 dedicato a ciò che considerava "The sea serpent and its kind".

Va anche notato che nel 1917 Laurence Marcellus Larson, l'attento ed accorto editore dell'edizione inglese del "Konnungs-Skuggsa", dedicato alle letteratura medioevale di Norvegia, sottolineò ampiamente che le meraviglie esotiche non erano necessariamente invenzioni false ed impossibili. E fu nel 1931 che il famoso collezionista di animali selvatici tedesco Joseph Delmont (1875-1935), dopo avere viaggiato il mondo intero per circa vent'anni, scrisse la seguente memorabile frase, pesantemente influenzata dalla sua esperienza personale:

"Senza dubbio esistono nelle regioni del mondo che sono ancora inaccessibili, così come nelle grandi profondità del mare, creature che resteranno ancora ignote alla scienza".

In mezzo all'ondata di autori della prima metà del XX secolo che erano ispirati dal problema degli animali nascosti, è sicuramente appropriato separare quegli scrittori scientifici che in certi capitoli dei loro libri si impegnarono a produrre una sintesi dell'intera questione, o almeno dei maggiori aspetti.

In Gran Bretagna questi erano Frank Walter Lane (nato nel 1902), per i numerosi articoli pubblicati in ogni dove, che alla fine sintetizzò in un capitolo divenuto un classico della criptozooologia del suo libro "Nature Parade", spesso riveduto ed aggiornato dal 1939 al 1946; il più grande divulgatore zoologico inglese, il Dott. Maurice Burton (1898-1992) per numerosi articoli sull' "Illustrated London News" e la sua opera capitale sulle leggende ed i fossili viventi, pubblicata nel 1954, 1955 e 1959 mentre era un collaboratore del Department of Natural Sciences del British Museum; ed infine lo scrittore Richard Carringotn (nato nel 1921) per il suo superbamente ben documentato libro "Mermaids and mastodons" (1957).

Merita di essere menzionato anche un libro per ragazzi di Richard Ogle, molto ben illustrato dallo stesso autore, "Animals strange and rare" (1951), sebbene le storie in esso riportate siano di seconda mano.

In Germania va prima di tutto menzionato il Dott. Richard Heming (1875-1934) esperto geografo e specialista della storia dell'esplorazione, per le ampie vedute ed apertura di spirito sul suo ben considerato lavoro "Who lag das paradies?" (1950) ed in particolare per la trattazione che fece sui "mostri" marini e lacustri.

Ma, oltre il Reno, era su tutte la figura del Dott. Ingo Krumbiegel che, dal 1943 in poi, avrebbe dominato la scena criptozoologica con i suoi scritti. Avremo in seguito l'occasione di tornare sull'argomento, specialmente per via della fondamentale importanza del suo ruolo.

Negli Stati Uniti l'"avant-garde" della criptozoologia non era meno prestigiosa durante la prima metà del secolo. Era composta da tre eccezionali personalità: l'infaticabile naturalista viaggiatore Alpheus Hyatt Verrill (1871-1954) (figlio del Professore Addison E. Verrill a cui dobbiamo l'essenza delle nostre conoscenze sul calamaro gigante), per l'apertura mentale che caratterizzò tutti i suoi lavori di zoologia ed antropologia divulgativa e per l'opera "Stange Prehistoric Animals" (1948); il naturalista scozzese e scrittore Ivan Terence Sanderson (1911-1973), stabilitosi in America durante la II Guerra Mondiale, autore dotato di senso dell'umorismo, ed a volte ispirato da lampi di genio, ma -Purtroppo!- anche un mitomane e bugiardo congenito, per una sovrabbondanza di brillanti articoli pubblicati tra il 1947 ed il 1959; e, sopra a tutti gli altri, il divulgatore scientifico di origine tedesca Willy Ley (1906-1969), conosciuto dal pubblico specilamente per i suoi libri di astronautica, ma che aveva studiato paleontologia e storia della zoologia all'Università di Berlino e Koenigsberg, cosa che di fatto spiega il carrattere essenziale delle opere in cui trattò largamente di criptozoologia: "The lungfish, the Dodo and the Unicorn" (1948), "Dragons in Amber" (1951) e "Salamanders and other wonders" (1955), così come "Exotic Zoology" (1959), che è un'antologia dei precedenti lavori.

Lasciateci sottolineare che, a parte una sorta di guida turistica dedicata alla parte orientale della British Columbia (Canada), "Milestones on the mighty fraser" (1950), Chester Peter Lyons (nato nel 1915), fu l'autore canadese Richard Stanton Lambert (1894-1981) il primo a menzionare il gigante villoso del Nord America, oggi chiamato Bigfoot, in un libro dove riportò il nome vernacolare di Sasquatch (10); questo libro era "Exploring the supernatural: the weird in canadian folklore" (1954).

Prima dall'ora questo enorme primate era menzionato solamente sulla stampa popolare o su riviste più o meno d'evasione, nei racconti dei viaggiatori, o nei trattati etnografici aventi a che fare con i miti dei nativi.

Alcuni lavori di brillanti appassionati dello stesso periodo che riportano ricerche sul campo, meritano egualmente di essere menzionati in qualità di contributi di prima mano alla criptozoologia: i due libri, di un rigore irreprensibile, di una delle menti più illuminate d'Inghilterra, il Comandante Rupert Thomas Gould (1890-1948), sul serpente di mare, "The case for the sea-serpent" (1930) e sui mostri lacustri "The Loch Ness Monsters and Others" (1934); le memorie di Kenneth Cecil Gandar Dower (1908-1944) sulla sua ricerca del leone maculato del Kenya, "The spotted lion" (1937); il rapporto del cacciatore e disegnatore di animali Moritz Pathé sulla sua ricerca in Liberia di un'antilope maculata ancora sconosciuta, "Die such nach dem fabeltier" (1940); l'esteso rapporto preparato da Ralph Izzard sulla sua caccia al Buru in Assam, "The Hunt for the Buru" (1951); e quella dello yeti in Nepal, "The abominable snowman adventure" (1955); ed infine il breve escursus sui mostri acquatici del curatore di museo danese C.M. Polsen, "Solangens Gade" (1959), supervisionato e introdotto dall'oceonografo di prima classe Dott. Anton Frederick Brun (1901-1961).

Da qualche tentativo sparso a una prima sintesi.

Abbastanza stranamente, nessuno di questi autori, nemmeno i più portati in Storia Naturale, avevano tentato di classificare zoologicamente e con un qualche grado di precisione i misteriosi animali di cui avevano parlato. Una volta ancora si deve parlare di criptozoografia piuttosto che di criptozoologia. Così una menzione speciale si rende doverosa per alcuni tentativi di identificazione fatti durante la prima metà del secolo da alcuni baldi naturalisti e zoologi.

Carl Hagenbeck (1884-1913) non era esattamente un uomo di scienza, ma in qualità di "re degli zoo", il grande cercatore di animali tedesco era eccezionalmente ben documentato sulla megafauna del Pianeta. Una vasta rete di esploratori, collezionisti di animali e naturalisti sul campo lo tenevano ben informato anche sui più vaghi rumori che circolavano inerentemente a forme apparentemente nuove di animali. Era un commerciante, non un sognatore. Così può essere considerato come una vera e propria autorità. E' questo il motivo per cui impressionò tutti gli uomini di scienza così come il grande pubblico quando rivelò nelle sue memorie "Von tieren und menschen" (1909), di avere ricevuto rapporti da numerose fonti indipendenti circa l'esistenza, nelle immense paludi dell'Africa tropicale, di un animale sconosciuto, "metà elefante e metà drago", in modo particolare quando aggiunse: "In base a quello che ho appreso su di esso può trattarsi soltanto di una qualche specie di brontosauro".

Nel 1913 l'ornitologo britannico Frank Finn (1868-1938) fu così scosso dalle recenti scoperte della talpa marsupiale Notoryctes, l'Okapi ed il cinghiale gigante di foresta Hylochoerus da non meravigliarsi del fatto che un elefante acquatico pigmeo la cui esistenza era segnalata in Centro Africa, potesse essere in realtà un tapiro locale.

Nel 1926 i più eminenti mammologi australiani, Albert Sherborne le Sovef (1877-1951) ed Harry James Burrell (1873-1945) inclusero nel loro manuale "The wild animals of Australasia" un "felino" marsupiale piuttosto grande nel nord del Queensland, soltanto sulla base di testimonianze e avvistamenti. Questa iniziativa fu in seguito confermata da Ellis le Geyt Troughton (1893-1974), curatore dei mammiferi dell'Australian Museum, in varie successive edizioni del classico "Furred animals of Australia" (1941, 1954, etc.).

Nel 1929 il prestigioso naturalista e scrittore tedesco Wilhelm Bolsche (1861-1939) pubblicò un piccolo opuscolo intitolato "Drachen, sage und naturwissenschaft", nel quale si impegnava di dimostrare che i draghi erano ispirati dalla sopravvivenza ai giorni nostri dei grandi rettili dell'Era Mesozoica, come i dinosauri. Il più interessante punto a suo favore era il rapporto scientifico di una spedizione nel Likouala-Congo guidata dal Capitano Freiherr Von Stein Zu Lausnitz. In questo documento l'ufficiale tedesco parlò con abbondanza di dettagli del Mokele-Mbembe, un animale anfibio grande come un elefante, ma avente collo e coda lunghi, che era descritto dai locali del basso Ubangi e dell'alto Sanga.

Nel 1933 il preside di una scuola di Bolzano in Nord Italia, il Dott. Jakob Nicolussi, suggerì in "Der Schlern", una rivista locale pubblicata in Germania, che il favoloso e terrificante tatzelwurm, un tozzo rettile o anfibio lungo circa un metro, spesso osservato in Svizzera, Bavaria ed Alpi Austriache, poteva essere una specie europea dell'unico Genere di lucertole velenose, conosciute come Heloderma, viventi solo in America e localizzate in Texas, Arizona, e nello stato messicano di Sonora, dove sono chiamate "mostro di Gila" (H. suspectum) ed in Messico, dove queste lucertole dalla pelle granulosa sono conosciute come "scorpione" (H. horridum).

Nel 1934 l'entomologo Britannico Malcolm Bun (1878-1954) concluse dopo un'estesa analisi della letteratura dedicata al serpente di mare che queste creature andavano identificate tra gli anfibi, come i tritoni e le salamandre.

Nel 1935, Louis Seymour Bazet Leakey (1903-1972), che un giorno sarebbe diventato famoso per la scoperta in Kenya del Zinjanthropus fossile, chiamato "l'uomo schiaccianoci", cercò di spiegare le storie che circolavano in Africa dell'est su di un orso di ineguagliabile ferocia, conosciuto nelle colonie Britanniche come Orso Nandi, con la sopravvivenza sino ai nostri giorni del Chalicotherium. Si era scoperto infatti, che questo strano ungulato dai potenti artigli e grande quanto un orso, era contemporaneo dell'Okapi durante il Miocene Pleistocene, e che, come quest'ultimo, poteva benissimo essere sopravvissuto nel medesimo habitat di foresta.

Nel 1944 Mervyn David Waldegrave Jefferys (1890-1957), Professore all'Università di Witwatersand e Johannesburg, rivisitò criticamente tutte le storie e tradizioni sui misteriosi "draghi volanti" e riassunse la sua opinione dicendo "il sospetto persiste che forse in qualche celato angolo africano possa sopravvivere qualche timido pterodattilo".

Nel 1945, il Dott. William Charles Osman Hill (1901-1978), che stava diventando uno dei leader contemporanei della primatologia, scrisse in uno studio mirabilmente ben documentato sui pigmei di Ceylon (oggi Sri Lanka) dai lunghi capelli, i Nittaewo, sterminati alla fine del XVIII secolo, ma forse attualmente esistenti a Sumatra, con il nome di Orang Pendek, (piccolo uomo) o Sedapa. Secondo Hosman Hill, tutti questi pigmei villosi potevano essere riconducibili ai fossili dell'uomo scimmia di Java chiamato inizialmente Pithecanthropus e classificato oggi con il nome di Homo erectus (11).

Nel 1947 il Dott. Ingo Krumbiegel (1903-1990), medico, zoologo e scrittore tedesco, dedicò un penetrante studio ad un mostruoso anfibio dell'Angola, chiamato localmente Coye Ya Menia (leone d'acqua). Dalle impronte lasciate sul terreno e dalle terribili ferite inflitte agli ippopotami, Krumbiegel concluse che l'animale poteva essere un grande felino dai denti a sciabola o un enorme varano, come il drago di Komodo, se non qualche sauro sopravvissuto dal Giurassico.

Nel 1950 il Dott. Krumbiegel ricordò in un altro articolo che i primi naturalisti che studiavano la fauna della Nuova Zelanda avevano riportato gli avvistamenti e la scoperta di tracce che le tradizioni native riconducevano ad un animale simile alla lontra, che viveva nei fiumi e laghi di South Island. I maori lo chiamavano Waitoreke. La sua presenza, ancora non provata, in un'isola remota priva di mammiferi indigeni eccetto i pipistrelli (e cani e ratti introdotti dall'uomo), indussero Wilhelm Bolsche, precedentemente menzionato, a suppore nella sua opera principale "Entwicklungsgeschichte des natur" (1896), che il waitoreke poteva essere imparentanto ai monotremi o a un gruppo ancora più arcaico di proto-mammiferi.

Ful soltanto nel 1950 che finalmente qualcuno tentò di tracciare una panoramica, anche se soltanto schematica, del vasto campo degli animali sconosciuti. Questi non fu altri che lo stesso Krumbiegel, in un piccolo libro intitolato "Von neven und unentdeckten tierarten" (Su nuove e sconosciute specie animali). Nella sua opera per prima cosa trattò delle maggiori scoperte zoologiche avvenute durante gli ultimi 100 anni, e poi enumerò tutti gli animali non identificati le cui voci di una possibile esistenza erano giunte sino a lui. Ne elencò circa una dozzina: il ghepardo reale della Rhodesia del sud (oggi Zimbawe), il tapiro di Sumatra completamente nero, l'amerantropoide del Venezuela, il "leone d'acqua" dell'Angola, il "serpente di mare" dell'Atlantico e del Pacifico, il Chrotherium fossile di Thuringia, conosciuto soltanto attraverso le impronte, il waitoreke della Nuova Zelanda, il piccolo e maculato galagone dell'Africa dell'ovest, un nuovo goral, una sorta di antilope del nord dell'India, il Bipunctate argus, un fagiano conosciuto soltanto dalle piume e la tigre marsupiale del Queensland.

E' senza dubbio una piccola carrellata se paragonata ai 150 animali che ho elencato nella mia checklist del 1986, ma era un inizio, e dalle premesse molto ricche.

Così nella metà del nostro secolo esistevano già nella letteratura scientifica non solo l'esemplare studio del Dott. Oudemans sul "grande sconosciuto" del mare, ma anche, per quanto riguarda una dozzina di animali terrestri sconosciuti, due lavori equivalentemente esemplari come quelli del Dott. Osman Hill da un lato, e la breve panoramica di alcuni importanti problemi criptozoologici del Dott. Krumbiegel dall'altro.

La criptozoologia è infine battezzata

Fu a questo punto che il sottoscritto, il Dott. Bernard Heuvelmans (nato in Francia nel 1916 da padre belga e madre olandese) entrò in scena in qualità di ricercatore che mirava a realizzare un'esaustiva sintesi di tutti i precedenti lavori e come "rifinitore" della metodologia, sino ad allora soltanto grezza, della nuova disciplina zoologica.

Il mio spirito critpozoologico fu senza dubbio alimentato durante la mia turbolenta infanzia da tre importanti romanzi: "Ventimila leghe sotto i mari" di Jules Verne (1828-1905), per via delle storie di incontri di calamari giganteschi ed altri mostri marini; "Il mondo perduto" di Arthur Conan Doyle (1859-1938), perché presupponeva la sopravvivenza di animali preistorici sulla cima di un isolato altopiano del sud America e "Les dieux rouges" di Jean d'Esme (pseudonimo del Visconte Jean d'Esmenard, nato nel 1893), perché basato sull'esistenza in Indocina di una sconosciuta tribù di uomini scimmia, una storia pubblicata nel 1928 e che anticipava il più noto romanzo "Les animaux denatures" (1952), ma senza implicazioni filosofiche.

Come già stato detto fu soltanto dopo la lettura del sensazionale articolo di Ivan T. Sanderson "Here could be dinosaur" sulle pagine del "Saturday evening Post" del 3 gennaio 1948, che parlava della possibile sopravvivenza di dinosauri in Africa, che presi la decisione di scrivere un libro esaustivo che parlasse di tutti i casi simili a questo. Infatti avevo accumulato nel corso degli anni una notevole quantità di informazioni sull'argomento, specialmente mentre studiavo zoologia alla Libera Università di Bruxelles, dal 1934 al 1939.

Chiaramente non ero all'epoca consapevole dell'imminente pubblicazione del compendio di Krumbiegel, che si rivelò poi davvero utilissimo nel corso del mio lavoro. Mi impegnai con fermezza per quattro anni pieni all'attuazione del mio progetto che trattava una varietà di casi -di fatto qualche dozzina- nella maniera più prosaica e dove, per la prima volta in una pubblicazione del genere, tutte le fonti erano citate, in conformità con le regole stabilite per le pubblicazioni scientifiche.

Da questo lavoro amorevole nacquero innanzi tutto una serie di articoli preliminari, pubblicati nel 1952 sulla rivista di divulgazione scientifica "Sciences et Avenir" e poi finalmente un libro in due volumi limitati dal taglio ai soli animali terrestri, "Sur la piste des betes ignorées" (1955). Questo lavoro fu in seguito tradotto in più di dieci lingue diverse, cosa che spiega la considerevole ripercussione che ebbe in tutto il mondo.

Comunque fu soltanto lavorando sul problema degli animali sconosciuti degli oceani che cominciai a capire che la metodologia di Oudemans era lontana dall'essere perfetta e che era giunto per lei il momento di essere espansa e raffinata. Mi resi conto innanzitutto che quello che ritenevo con devozione il mio maestro commise un grave errore nel considerare a priori che tutti i serpenti di mare, tutti i grandi ed allungati mammiferi marini, ancora sconosciuti o meno alla scienza, appartenessero ad una sola specie.

Apparve presto ai miei occhi che alcuni di loro non provenivano dalla stessa classe di vertebrati. A parte un grande rettile -ma certamente non un serpente!- e una tartaruga di enormi dimensioni, sembravano coinvolti non solo un grande pinnipede ipotizzato da Oudemans ed un cetaceo ipotizzato da Wood, ma anche una sfilza di pesci chiaramente non imparentati gli uni agli altri. Per districarmi con successo da questo problema atrocemente complesso, mi affidai infine al servizio della più primitiva forma di computer, il sistema a schede perforate.

Mi sforzai per anni a perfezionare l'approccio statistico di Oudemans, che è efficace solo per la chiarificazione di un singolo fenomeno isolato, che di sicuro è cosa rara nell'ambito dei problemi critpozoologici. Infine fui in grado di codificare una metodologia generale in grado di essere applicata senza preconcetti, pregiudizi e opinioni soggettive a tutti i casi di informazioni recenti o antiche riguardanti animali apparentemente sconosciuti. (12)

Per affrontate il problema del serpente di mare studiai per tre anni la storia virtualmente parallela di un altro mostro marino ancora più fantastico, il kraken, che alla fine si risolse con la scoperta del calamaro gigante del Genere Architeuthis.

Questa analisi rafforzò ulteriormente la mia convinzione che una spiegazione unica e riduzionistica è spesso non difendibile in criptozoologia. Anche in queto caso diverse creature, enormi Octopus ancora sconosciuti così come calamari giganti ora catalogati, furono confusi assieme dando vita alle leggende delle creature tentacolari grandi come isole. Tutto questo fu l'oggetto dell'opera "Dans le sillage des monstres marins: le kraken'et le poulpe colossal" (1958).

Soltanto in seguito a questa pubblicazione passai ulteriori sette anni ad esaminare più accuratamente gli intricati casi dei serpenti di mare, che mi portarono alla realizzazione nel 1965 di "Les Grand Serpent-de-Mer: le problème zoologique et sa solution". Fu durante questi anni di intenso lavoro, verso l'ultima parte degli anni '50, che sentii il bisogno di coniare un nome che facesse rientrare questa ricerca tra le discipline della scienza. Così questo è il motivo per cui coniai il termine "criptozoologia", che significa "scienza degli animali nascosti", che cominciai ad utilizzare regolarmente nelle mie corrispondenze professionali.

La parola apparve stampata per la prima volta nel 1959, quando uno dei miei corrispondenti, Lucien Blancou (1903-1983), capo ispettore onorario dell'Hunting and Protection of overseas fauna, dedicò il suo libro "Géopgraphie cynégétique du Monde", a "Bernard Heuvelmans, maestro della criptozoologia". Questo termine è oggi utilizzato largamente in tutto il mondo, e figura in diversi dizionari ed enciclopedie.

Queste sono le radici dell'albero della criptozoologia.

L'esemplare scoperta di Nettuno

Sembra così chiaro che l'essenza della ricerca criptozoologica giace nella diligente raccolta, nell'analisi, nell'eliminazione degli errori e dei falsi evidenti, nello studio comparativo e nella sintesi di tutte le informazioni sugli animali che restano ancora esclusi dai nostri cataloghi, sebbene si possiedano su di essi numerose informazioni. Il risultato finale di questo lungo processo, una sorta di identikit sia morale che fisico, deve servire principalmente a permettere che la creatura in questione possa essere localizzata e riconosciuta senza ambiguità con la massima precisione possibile. Inoltre dovrebbe essere possibile conoscere dove, quando e come avvicinarla, eventualmente per catturarla con una trappola se non sulla pellicola, ed idealmente stabilire con essa una relazione la più pacifica ed amichevole possibile.

Tuffarsi nel Loch Ness per tentare di arpionare uno degli animali enigmatici del lago scozzese; fare spedizioni attraverso le vette dell'Himalaya sperando di incontrare l'inafferrabile Yeti, braccare il Bigfoot, il gigante irsuto dai grandi piedi, tra le montagne boscose del sud-ovest dell'America Settentrionale, o sguazzare tra le paludi dell'enorme foresta congolese alla ricerca di dinosauri che potrebbero essere sopravvissuti dall'Era Secondaria, sono tutte imprese certamente molto più divertenti, ma non hanno davvero nulla a che spartire con la ricerca criptozoologica propriamente detta; così come non lo è dragare i fondali marini, esplorare le acque delle caverne semi-sommerse o dare la caccia a farfalle e coleotteri con il retino.

Attività di questo tipo sono soltanto la routine degli obbiettivi della zoologia: campionature cieche, test esplorativi o processi di controllo. Di fatto la vera ricerca criptozoologica sul campo consiste prima di tutto nel collezionare dagli abitanti locali tutte le informazioni, le più complete e recenti, e nel ricercare allo stesso tempo, possibili evidenze concrete dell'esistenza dell'animale avvistato, ed infine, impegnarsi nell'incontrarlo personalmente nelle migliori circostanze possibili (13).

L'ambizioso obbiettivo della criptozoologia è di riuscire a descrivere scientificamente un animale prima di averlo catturato od ucciso. Questo è in verità uno scopo generoso, che rivela un'etica più compatibile con il rispetto della natura che oggi è enormemente in pericolo.

Un simile obbiettivo può essere paragonato alla scoperta del pianeta Nettuno nel 1846, da parte di Urbain Le Verrier (1811-1877). Fu attraverso lo studio di una leggera perturbazione nell'orbita ellittica di Urano che l'astronomo francese fu in grado di dedurre la presenza di un pianeta sino allora sconosciuto. Le Verrier informò il suo collega tedesco Johan Galle (1812-1910) del dove avrebbe dovuto puntare esattamente il suo telescopio se avesse voluto vedere il pianeta sconosciuto, ed anche della luminosità e grandezza con cui gli si sarebbe presentato. Due o tre giorni dopo, Galle scoprì Nettuno con un grado dal punto che Le Verrier gli aveva indicato.

Il celebre divulgatore scientifico Camille Flammarion (1842-1925) riportò che, sebbene Le Verrier fu nominato direttore dell'osservatorio di Parigi in seguito al risultato del suo brillante successo, non si prese mai la briga di dare personalmente un'occhiata al corpo celeste che lui stesso aveva scoperto.

E' improbabile che un criptozoologo esibirebbe lo stesso ammirabile distacco di questo rigoroso teorico, se un giorno un campione di una specie da lui descritta fosse catturata o fortunosamente ritrovata a seguito di uno spiaggiamento.

 

Note del traduttore

(1) Oggi sappiamo che Panthera atrox era davvero un leone.

(2) Pochi anni dopo questa dichiarazione fu scoperto il tapiro indiano e le scoperte di animali, anche di grossa taglia, sono continuate nel tempo sino a oggi.

(3) vedi W. D. Strong, North American Traditions Suggesting a Knowledge of the Mammoth (American Anthropologist, Vol. 26, 1934), p. 81.

(4) Vedi qui.

(5) Gli Zeuglodonti erano antichi cetacei estintisi circa 30 milioni di anni fa.

(6) Heuvelmans si riferisce a uno studio condotto da Gennaro.

(7) Heuvelmans fa riferimento all'episodio del "Minnesota Iceman", un cadavere conservato in un blocco di ghiaccio, da lui ritenuto autentico, ma in seguito rivelatosi un manichino magistralmente realizzato.

(8) Un recente studio data l'antichità di alcune tradizioni orali all'età del bronzo. http://rsos.royalsocietypublishing.org/content/3/1/150645.

(9) Nell'edizione de "il Milione" che possiedo (a cura di Maria Bellonci, Mondadori 2003) è riportato Mogadiscio, ma non conosco l'attuale posizione degli specialisti in merito.

(10) In realtà la parola "Sasquatch" fu coniata da J.W. Burns nel 1920, per anglicizzare i termini "Sokquetal" e "Sossq'tal", parole di origine Salish.

(11) Nel 2004, nell'isola indonesiana di Flores furono scoperti i resti fossili di una nuova specie umana, che inizialmente i ricercatori ritennero essere una forma insulare nana di Homo erectus. I resti furono datati a soli 10.000 anni fa e messi in relazione, dall'antropologo Gregory Forth, alle leggende tramandate dai nativi dell'isola riguardo agli "ebu gogo", piccoli uomini che vivevano in modo primitivo e che sarebbero stati sterminati dai loro antenati. Successive analisi hanno pre datato questi fossili a 50.000 anni fa e messo in relazione a specie umane ancora più arcaiche.

(12) Per chiarimenti vedere il mio articolo A Review of Cryptozoology: Towards a Scientific Approach to the Study of “Hidden Animals”.

(13) Vedi sopra.