Ebu-Gogo, un'indagine antropologica
Secondo gli antenati dei Veddah, popolazione dello Sri Lanka un tempo linguisticamente e fenotipicamente distinta dai cingalesi, sino al XIX secolo le aree montuose del distretto di Lenama erano abitate da misteriosi pigmei chiamati nittaewo, parola dall'etimologia incerta che potrebbe derivare dall'indoario niya-atha "colui che possiede unghie".
Le prime informazioni su questi pigmei giunte in occidente provengono dall'esploratore britannico Hugh Nevill (1886), che poté ascoltare storie a riguardo da un cacciatore cingalese, che a sua volta le aveva udite da un vecchio amico che era uno degli ultimi Veddah purosangue rimasti sull'isola. Stando a quanto riportato da Nevill i nittaewo erano ricoperti da una pelliccia irsuta e possedevano possenti artigli, camminavano eretti e le loro mani, piedi e gambe erano "quasi umane".
Successivamente (1914) il naturalista Frederick Lewis, che non era a conoscenza di quanto riportato da Nevill, pubblicò altre informazioni in merito che aveva raccolto da una famiglia il cui nonno del membro più anziano era un Veddah nativo, scoprendo che i nittaewo erano stati letteralmente sterminati non più di cinque generazioni prima. L'altezza media era inferiore al metro e le femmine erano più piccole dei maschi. La loro deambulazione era bipede ed erano privi di coda. Sebbene le loro braccia fossero corte possedevano lunghe unghie simili ad artigli con le quali sventravano le prede. Nessun informatore descrisse però le caratteristiche fisiche della loro testa e del volto.
Sia gli interlocutori di Nevill che quelli di Lewis si riferivano ai nittaewo come a una "razza umana", il cui linguaggio era descritto simile al cinguettio degli uccelli. Inoltre erano abili arrampicatori e abitavano sia su piattaforme rivestite di foglie costruite sulle cime degli alberi, che all'interno di caverne. Vivevano in gruppi composti da una ventina di individui perché essendo privi di qualunque strumento tecnologico, solo cooperando tra loro erano in grado di avere la meglio sulle prede. Oltre a non utilizzare nessun tipo di arma non conoscevano nemmeno l'uso del fuoco.
Sebbene provassero un forte timore nei confronti dei Veddah, dei loro cani e dei bufali d'acqua, se le condizioni lo permettevano si dimostravano aggressivi e pericolosi nei confronti degli altri esseri umani, che non esitavano ad uccidere e a sventrare. Inoltre compivano anche sortite nei villaggi per rubare i pezzi di carne essiccata lasciati al sole. Questa difficile convivenza fu la causa della fine dei nittaewo, ai quali i Veddah diedero una caccia spietata sino a costringerne l'ultimo nucleo conosciuto dentro a una caverna, per poi soffocarlo con il fumo di un grande falò acceso alla sua entrata.
A queste leggende si interessò anche l'eminente esperto di anatomia e primatologia Osman Hill (1945), che nel 1930 divenne professore presso il Medical College di Ceylon. Lo scienziato si chiese in quale contesto ecologico, se reali, i nittaewo potessero essere inseriti. Nella sua prima ipotesi chiamò in causa gli orsi, che condividevano con gli enigmatici pigmei il fatto di possedere lunghi artigli, essere carnivori, abili arrampicatori e di frequentare le caverne. Stando a Hill, più che al maggiormente mansueto (e quasi esclusivamente quadrupede) orso labiato (Melursus ursinus inornatus), i racconti sui nittaewo potevano essere ricondotti a un plantigrado misterioso e considerato estinto, che i nativi chiamavano Rahu Walaha, il quale secondo i racconti fu sterminato alla fine del XIX secolo per via della sua tendenza ad attaccare gli esseri umani.
L'andatura bipede e la vita di gruppo, essendo peculiarità dei primati, non erano però compatibili chiamando in causa un orso, così Hill avanzò l'ardita ipotesi che potesse trattarsi di uomini erectus (che all'epoca erano ancora chiamati pitecantropi) relitti, giunti sull'isola dall'Asia continentale ed estintisi in un'epoca sufficientemente recente da avere permesso la sopravvivenza del loro ricordo nelle tradizioni orali dei Veddah.
Successivamente Bernard Heuvelmans (1955), facendo notare come la statura dell'Homo erectus non fosse troppo diversa da quella del moderno sapiens, ipotizzò che se la teoria di Hill era corretta, la piccola stazza attribuita ai nittaewo avrebbe potuto essere spiegata con il ben documentato fenomeno del nanismo insulare, aggiungendo che:
Ma purtroppo il padre della criptozoologia morì tre anni prima di riuscire a vedere con i propri occhi il parziale avverarsi di quanto da lui auspicato...
Era l'ottobre del 2004 quando fu resa pubblica la notizia della scoperta, avvenuta durante scavi archeologici presso la grotta di Liang Bua, isola di Flores, di resti scheletrici umani non completamente fossilizzati di una decina di individui dotati di caratteristiche morfologiche "estreme". L'olotipo era alto poco più di un metro, ma molti altri individui erano ancora più bassi. Il volume cerebrale era solo di 400 cc, ma la cosa più sbalorditiva era la relativa recentezza dei reperti: la data più sicura indicava un'età di 17.000 anni, ma altre evidenze suggerivano un'antichità dai 12.000 agli 11.000 anni. Successivamente (Brown e Maeda, 2009) proposero un range temporale dai 6.800 ai 6.000 anni fa.
Dopo le prime inevitabili controversie, l'uomo di Flores (Homo floresiensis) è ora ufficialmente considerato come una valida specie del genere Homo caratterizzata da peculiarità inusuali. Con un volume endocranico che si situa all'interno del range di quello degli scimpanzè e una proporzione degli arti e robustezza dello scheletro simili a quelli di un australopiteco, questa scoperta ha incrinato alcuni paradigmi della paleoantropologia, dimostrando che gli ominini avrebbero potuto raggiungere l'Asia molto prima della migrazione dall'Africa dell'Homo erectus. Se infatti l'interpretazione iniziale fu quella di considerare l'uomo di Flores come una forma nana dell'uomo erectus, successive analisi delle ossa dei polsi, molto più simili a quelle dello scimpanzè che non all'Homo sapiens (Tocheri et al., 2007) e dei piedi (Jungers et al. 2009) rivelarono caratteristiche morfologiche uniche tra quelle degli altri ominini conosciuti e molto primitive, che potevano indicare che l'Homo floresiensis fosse più antico dell'Homo erectus e non un suo discendente.
Probabilmente l'antropologo Gregory Forth dell'Università di Alberta fu uno dei pochi scienziati al mondo a non essere rimasto troppo sorpreso di questa scoperta. E il motivo di ciò è che in un certo senso conosceva già questi piccoli uomini...
Forth aveva infatti condotto ricerce etnografiche a Flores dal 1984 e nelle sue interviste alla popolazione locale aveva raccolto numeroso materiale riguardante tradizioni relative a piccoli uomini conosciuti con il nome di ebu gogo nella regione di Nage, Flores centrale. Nel libro pubblicato nel 2008 in cui riassume i lunghi anni di ricerche, sottolinea con insistenza come la stragrande maggioranza delle informazioni raccolte precedevano la scoperta dell'uomo di Flores. Uno dei testimoni che fornì maggiori particolari riportò quanto segue:
Nonostante le storie raccolte contenessero elementi visibilmente folklorici, nel suo libro Forth propose di "sospendere l'incredulità" e di valutare le descrizioni fornitegli come il riflesso di creature reali aventi in qualche modo una base empirica. In quella che definisce come "ipotesi dell'incontro" (2011), dichiara infatti che alcune caratteristiche delle tradizioni riguardanti gli ebu gogo, troverebbero una spiegazione più parsimoniosa nell'ottica di una memoria collettiva di incontri reali tra uomini sapiens e un'altra specie ominina, piuttosto che nella sola interpretazione folkloristica.
Forth ammette comunque che questa sua idea è in netta contrapposizione a uno dei paradigmi dell'antropologia culturale, cioé l'interpretazione assiomatica che le rappresentazioni (immagini e idee regolarmente espresse da una comunità o gruppo sociale) che non sono apparentemente supportate da evidenze fisiche, vadano spiegate come proiezioni immaginarie di interessi sociali e valori culturali. L'ipotesi del contatto è comunque sposata anche da Mike Morwood, uno degli scopritori dell'uomo di Flores, che in un'intervista registrata per il documentario Flores Man or the Tale of the Last Hobbit, dichiarò che la specie sarebbe potuta sopravvivere almeno sino all'arrivo dei primi coloni olandesi sull'isola (XIX secolo).
Dando prova di estrema onestà intellettuale, Forth ha però ammesso che se anche un giorno fossero rinvenuti fossili di Homo floresiensis la cui datazione rientrasse nell'ordine dei secoli, rimarrebbe ancora aperta la questione di quanto una memoria collettiva a loro riferita possa essersi accuratamente preservata.
Ad eccezione di qualche maschera molto stilizzata e rudimentale, i Nage non hanno prodotto rappresentazioni visive degli ebu gogo, eppure sembrano in grado di descriverli con la stessa accuratezza con la quale parlano delle specie di mammiferi locali. Quando questo paradosso gli veniva fatto notare, di norma gli intervistati replicarono che avevano ricevuto le informazioni dai loro genitori e nonni.
Gli ebu gogo erano creature robuste e forti, dalla dieta prevalentemente vegetariana. Due persone dissero che possedevano lunghe unghie (dettaglio che ricorda le storie sui nittaewo). I loro piedi erano corti e piatti, la loro postura eretta ed erano abili arrampicatori. Il volto era da alcuni descritto come quello delle scimmie, mentre da altri paragonato a quello di "orrendi esseri umani". Molti interlocutori ne descrissero in dettaglio le caratteristiche: il naso era piatto e largo, la bocca larga, la fronte sfuggente e il mento poco sviluppato. Alcuni dissero che erano ricoperti di peli, mentre secondo altri non erano più pelosi dei più irsuti esseri umani. La carnagione era scura, non dissimile da quella dei nativi. Non indossavano vestiti e si nutrivano prevalentemente di frutta e vegetali. Difficilmente li si poteva incontrare di giorno in quanto prevalentemente notturni. Il loro sterminio ebbe luogo tra il 1750 e il 1800.
Non esistono prove materiali della sopravvivenza recente di questi "hobbit", ma soltanto indizi circostanziali derivanti dalle ricerche etnografiche condotte da Forth dal 1984 al 2011. Fu proprio nel 2011, verso la conclusione dei suoi studi, che si imbatté in quelle che definisce come "ragguardevoli testimonianze".
Una di queste riguarda un uomo dell'area settentrionale di Nage, dove vivono le popolazioni Poma e Rawe, etnolinguisticamente distinte, tra le quali il nome dato ai misteriosi ominidi è ana ula. Il testimone, nato nel 1932, asserì che il suo primo incontro con gli strani esseri avvenne quando aveva 15 o 16 anni. L'avvistamento ebbe luogo presso una macchia erbosa in prossimità della caverna di Ana Ula. Osservò da una distanza di circa 30 metri una ventina di creature che non aveva mai visto prima. Emettevano una sorta di balbettii acuti e stridenti riguardo ai quali non si disse sicuro se potessero essere definiti o meno come un linguaggio. Accovacciato tra la vegetazione osservò le creature per qualche minuto, ma quando il gruppo si mosse verso la sua direzione si spaventò e fuggì via.
Descrisse le creature come alte circa un metro, dall'aspetto umano e prive di coda. Erano ricoperte da un pelo grigio e il loro volto sembrava umano, ma per via della distanza non poté scorgerne i dettagli. Non indossavano vestiti e non avevano armi. Camminavano con postura eretta e quando iniziarono a spostarsi si misero in fila uno dietro l'altro.
Considerando che i Nage sono soliti ad associare le esperienze fuori dal comune a incontri con gli spiriti, che in genere si ripercuotono con effetti negativi sulla salute, Forth chiese al testimone di ricordare se nei giorni successivi avesse avuto la febbre (era convinto potesse trattarsi di un'allucinazione dovuta alla malaria), ma il testimone gli disse di non essersi ammalato e di non avere fatto sogni strani.
Visto che le creature osservate erano compatibili per numero ai branchi dell'unico primate non umano presente sull'isola, il macaco cinomolgo (Macaca fascicularis), Forth chiese se si fosse confuso. Ma il testimone negò la cosa fortemente, dicendo che gli ana ula erano una "sorta di uomini". Il secondo avvistamento ebbe luogo 15 anni dopo, nella regione di Tana Wolo, durante una battuta di caccia alle pendici di un monte, dove da grande distanza poté osservare un gruppo di 5, 6 individui che gli ricordarono le creature avvistate presso la caverna anni prima.
Sebbene specifichi chiaramente che è importante considerare simili segnalazioni non solo come dati, ma anche come prodotti sociologici nel cui processo di formazione anche l'intervistatore stesso ha per forza di cose giocato un ruolo, Forth pare essere piuttosto propenso a dare credito a questi presunti avvistamenti. Stabilire una connessione tra resti fossili di Homo floresiensis e leggende riguardanti gli ebu gogo rimane quindi un'impresa molto ardua da dimostrare, soprattutto perché il mito dell'uomo selvatico sembra essere un archetipo universale che esiste indipendentemente da qualunque tipo di evidenza empirica (come ad esempio nei casi dello yowie australiano e del bigfoot nordamericano).
Forth sostiene però che le evidenze etnografiche non risultano prive di valore in casi come questi e potrebbero essere molto importanti per guidare nella giusta direzione future ricerche paleontologiche, archeologiche e zoologiche. Sulla base di queste informazioni infatti, diversi archeologi hanno cominciato a svolgere indagini in una zona di Flores indicata dai nativi come un grande punto di sepoltura degli ebu gogo (Forth, 2012).
La verità, forse, potrebbe essere ancora sepolta da qualche parte...
- Brown, P. and Maeda, T. (2009), Liang Bua Homo floresiensis mandibles and mandibular teeth: a contribution to the comparative morphology of a new hominin species. Journal f Human Evolution, 57:571-596.
- Forth, Gregory (2008), Images of the Wildman in Southeast Asia: An Anthropological Perspective. Routledge.
- Forth, Gregory (2012), Are hairy hominoids worth looking for? Views from ethnobiology and palaeoanthropolgy. Anthropology today, 28:13-16.
- Forth, Gregory (2013), Three Remarkable Tales and Two Challenges For Anthropology - An Evaluation of Recently Reported Eyewitness Accounts of Unidentified Hominoids From Flores Island. The Journal of Cryptozoology 2:9-30.
- Jungers, W. L. et al. (2009), The foot of Homo floresiensis. Nature 459 (7243): 81–84.
- Heuvelmans, Bernard (1955), Sur la piste des betes ignorées. Plon.
- Hill, W. C. Osman (1945), Nittaewo - an unsolved problem of Ceylon. Loris: A Journal of Ceylon Wild Life, Vol. IV, No. 1: 251-62.
- Levis, Frederick (1914), Notes on an exploration in Eastern Uva and Southern Panama Pattu. Journal of the Royal Asiatic Society Ceylon Branch 23 (67):276-93.
- Nevill, Hugh (1886), The Nittaewo of Ceylon.
- Tocheri et al. (2007), Derived wrist anatomy in the genus Homo as evidenced by 3D quantitative analyses: the implications for understanding the evolution of stone tool behaviors in hominins. American Journal of Physical Anthropology 132, 232-322.