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Il lamantino di Roosmalen

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Il lamantino di Roosmalen

un controverso caso zoologico
Ritratto di lorenzorossi di Lorenzo Rossi - Gio, 20/09/2012 - 09:30Qui si parla di

Tra tutte le nuove specie animali descritte da Marcus van Roosmalen il cui status è considerato controverso dal mondo accademico, la più spettacolare è senza dubbio il piccolo lamantino per il quale lo zoologo olandese ha scelto il nome di Trichechus pygmaeus. Abbiamo già affrontato in precedenti articoli la particolare e limitante condizione nella quale Roosmalen dichiara di essere costretto a operare sul campo, e fatto conoscenza di una delle molte potenziali specie non ancora accettate come tali dal mondo accademico: il mazama bianco, ma prima di addentrarci nella trattazione di quella che secondo lo zoologo olandesse rappresents la scoperta zoologica del secolo, è necessario un breve preambolo per presentare l'ordine dei Sirenii.

Si tratta di mammiferi completamente acquatici, superficialmente simili alle foche, che possiedono un regime alimentare esclusivamente erbivoro. Attualmente esistono soltanto due famiglie viventi, nelle quali rientrano i dugonghi e i lamantini (o manati). I primi sono rappresentati da una sola specie, Dugong dugon, distribuita lungo le coste tropicali di Africa orientale, Asia occidentale, meridionale e sudorientale, Australia e isole del Pacifico.

I lamantini, che al contrario dei dugonghi sono presenti prevalentemente nelle acque dolci dei grandi fiumi e nelle acque salmastre degli estuari, o nelle immediate vicinanze costiere, contano tre specie che vivono rispettivamente nella costa africana occidentale, lungo la costa orientale del Sudamerica e nel Mar dei Caraibi.

Nel settembre del 2002 Roosmalen entrò in possesso del un teschio completo di un maschio adulto recentemente ucciso da un cacciatore, di quello che i nativi del Rio Aripuana chiamano pretinho e che considerano come un lamantino di piccole dimensioni (130 cm) ben distinto dal noto lamantino amazzonico Trichechus inunguis. In seguito riuscì finalmente a filmare, fotografare, esaminare e studiare da vicino un presunto maschio adulto della specie per oltre 4 mesi. Nove anni dopo lo zoologo scoprì che la sola e ultima popolazione di lamantini pigmei è localizzata presso il ramo più settentrionale del Rio Arauzinho in prossimità dello spartiacque con il Rio Uruá.

I lamantini nani sembrano perfettamente adattati a pascolare le piante acquatiche che nascono sul fondale nelle acque limpide, basse e agitate dei torrenti, mentre i lamantini amazzonici sono distribuiti nelle acque calme e scure di laghi e fiumi che offrono una bassa visibilità e si cibano di piante galleggianti. La descrizione della specie da parte di Roosmalen si basa sullo studio diretto di due maschi adulti, entrambi lunghi 130 cm (contro i 280-320 cm del lamantino amazzonico), con un circonferenza di 90 cm per circa 60 kg di peso (in contrasto con i 350-500 kg del lamantino amazzonico). La pelle è interamente nera ad eccezione di una zona bianca sull'addome riportata per entrambi i sessi e il muso è tozzo. 

La colorazione del lamantino pigmeo, più scura di quello amazzonico, sarebbe secondo Roosmalen un adattamento alla vita nelle acque basse e limpide, in modo da evitare ustioni dovute all'esposizione ai raggi solari. I comuni lamantini amazzonici infatti, essendo adattati a una vita in acque scure e fangose, tendono a riportare bruciature sulla pelle quando custoditi in cattività senza le adeguate prevenzioni. Anche la grande chiazza riportata sull'addome, sarebbe secondo l'autore un adattamento evolutivo contro l'aculeo delle razze di fiume. L'irregolarità del ventre bianco e nero ingannerebbe infatti la percezione visiva di questi pesci, che vivono in gran numero nello stesso habitat dei piccoli lamantini. In accordo con le descrizioni dei nativi, confermate dall'osservazione sul campo, i lamantini pigmei tendono a mescolarsi ai banchi di jaraqui (Semaprochilodus insignis) mentre si nutrono di piante. Questa associazione polispecifica potrebbe essere una risposta difensiva contro le scosse delle anguille elettriche e gli attacchi di potenziali predatori come anaconda e giaguari. Roosmalen considera la specie in pericolo critico per via del suo ristretto areale di distribuzione, l'esigua popolazione (meno di 100 esemplari stimati) e l'estrema vulnerabilità ai cacciatori. L'olotipo è rappresentato da un cranio lungo 24 cm e largo 15, contro i 34 x 19 cm del Trichechus inunguis, ma nonostante le buone premesse, la descrizione formale di Roosmalen, inviata alla prestigiosa rivista Nature, non è stata accettata per la pubblicazione: Daryl Domning principale esperto di Sirenii della Smithsonian Institution, ritiene infatti che gli esemplari studiati da Roosmalen non siano altro che giovani individui di lamantino amazzonico.

In effetti l'analisi del DNA del cranio effettuata dai collaboratori di Roosmalen, non ha rivelato sostanziali differenze da quello del T. inunguis, che lo zoologo olandese ha spiegato con il risultato di un flusso genico* avvenuto in passato, essendo le due specie parapatriche, cioé viventi in aree che si sovrappongono soltanto marginalmente, e solo ecologicamente allopatriche (separate). L'ipotesi è quindi quella che in passato, prima dell'attuale e più netta separazione degli habitat, possano essere avvenuti incroci tra le due specie. Sinceramente, considerando l'estrema differenza di dimensioni tra le due specie, la spiegazione degli incroci risulta però alquanto dura da credere. 

Dovendo inoltre limitarci alle fotografie del presunto esemplare, è inoltre palese come quest'ultimo presenti molte similitudini con un giovane di lamantino amazzonico. Che vanno dal colore, che non appare più scuro, alla macchia bianca sul petto, presente anche in T. inunguis

Esistono però incisivi elementi che farebbero fortemente dubitare dell'interpretazione di Domning, il problema è che allo stato attuale dei fatti si tratti di dichiarazioni di Roosmalen, non supportate da prove.

Per prima cosa un cucciolo di lamantino amazzonico delle dimensioni dell'esemplare descritto e fotografato dovrebbe ancora fortemente dipendere dalla madre. Il lamantino pigmeo invece, in un periodo di 4 mesi di osservazioni in un'ansa di un fiume bloccata da una recinzione, è sempre stato prefettamente autonomo nutrendosi di piante acquatiche. Inoltre per l'intero lasso di tempo le sue dimensioni non aumentarono di un solo cm. Potrebbe quindi trattarsi di un caso isolato di nanismo, ma Roosmalen ha segnalato avvistamenti di altri esemplari, il che renderebbe l'ipotesi teratologica statisticamente improbabile. Infine, ci sarebbero le sostanziali differenze etologiche esibite dagli individui pigmei.

In maniera non propriamente gentile, i revisori della descrizione di Roosmalen gli hanno consigliato di lasciare perdere la cosa e di "tornare ad occuparsi delle tue scimmie"**, o di procurarsi ulteriore e più convincente materiale genetico.

Roosmalen, dal canto suo, che nol corso del tempo ho imparato a conoscere meglio, rimane una figura alquanto controversa, poco incline a fare passi indietro o ad accettare spiegazioni alternative. Ad esempio, ammesso che il lamantino pigmeo esista davvero, non è detto che il cranio donatogli dai nativi appartenesse davvero a questa specie e non fosse piuttosto quello di un giovane T. inunguis.

 

 

Note

* Il flusso genico è la diffusione dei geni tra diverse popolazioni.

** Roosmalen è specializzato in primatologia e ha scoperto in Amazzonia diverse nuove specie di scimmie.