Irukandji: quando la criptozoologia incontra la medicina
Nel 1952 il Dr Hugo Flecker [1] descrisse scientificamente una particolare sindrome nota ai medici delle coste australiane da diverse decadi. Questa sindrome si manifesta inizialmente con una sensazione di punture in una o più aree del corpo, seguita da un'esteso arrossamento della pelle, che sparisce rapidamente.
Per circa venti minuti la vittima non ha alcun sintomo, poi viene colta all'improvviso da insopportabili dolori alla schiena e all'addome, mal di testa, forte sudorazione e problemi a respirare, seguiti poi per ore da spasmi di tosse e vomito.
Fino a quel momento non si erano documentate vittime [2], ma Flecker suggerì comunque una cura basata su iniezioni di Petidina (nota anche col nome commerciale di Demerol) ed altri forti antidolorifici oppioidi per alleviare il dolore ed un attento monitoraggio della pressione del sangue.
Flecker si disse anche convinto che la causa di questa devastante sindrome fosse "probabilmente" una medusa di qualche tipo, anche se ammise candidamente di non averne alcuna prova. Questa è la Sindrome Irukandji, che prende il nome da una tribù di aborigeni che anticamente viveva nella zona di Cairns (Queensland), ove si concentravano la maggior parte dei casi.
Nonostante numerose ricerche da parte di enti federali e dipartimenti di biologia marina, la creatura in questione rimase elusiva. Neppure le reti a maglie più sottili riuscirono ad intrappolare il responsabile della sindrome. La terapia suggerita da Flecker era senz'altro efficace, ma erano in molti a volere sapere di più sulle cause di questa sindrome, anche solo per offrire qualche forma di protezione ai bagnanti o poterli avvisare del pericolo.
Tra coloro che davano la caccia all'elusiva creatura c'era anche il Dr John Barnes dell'Università di Cairns che, frustrato dai continui insuccessi, decise di risolvere il mistero con la tipica caparbietà ed ingegnosità australiana.
Dopo numerosi esperimenti costruì un particolare strumento costituito da un contenitore di plastica, un coperchio ed un meccanismo a molla. Tirando una leva il coperchio chiudeva ermeticamente il contenitore, intrappolando anche le più minuscole forme di vita che fino ad allora erano sfuggite alle reti a maglie fini impiegate nelle ricerche.
Nel Dicembre del 1961, Barnes stava facendo snorkeling nei pressi di Palm Beach (Queensland), impegnato nell'ennesima ricerca dell'elusivo Irukandji, quando notò a pochi centimetri dal suo naso alcuni sottilissimi tentacoli, apparentemente privi di corpo. Senza perdere tempo mise in funzione il suo strumento e nuotò rapidamente verso riva per esaminare la sua cattura.
Scoprì che si trattava di una medusa appartenente alla classe dei Cubozoa [3], con un minuscolo mantello, alto appena 15mm, trasparente e dotata di quattro fragili tentacoli lunghi circa 20cm. Poteva un animale tanto insignificante essere la causa della terribile Sindrome Irukandji?
Dimostrando o un grande spirito di sacrificio o completa incoscienza (Flecker aveva previsto comunque la possibilità, per quanto remota, che la Sindrome Irukandji potesse essere mortale), Barnes, assistito solo dal figlio e da un bagnino, decise di mettere a contatto della pelle la minuscola medusa. Non c'è bisogno di dire che scoprì esattamente quello che voleva.
Più tardi, lo stesso giorno, un assistente di Barnes catturò sullo stesso tratto di spiaggia un piccolo pesce moribondo. Esaminandolo con una lente d'ingrandimento, scoprì che era stato attaccato da un Irukandji.
Nel 1965 questi due esemplari vennero inviati da Barnes ad un collega, il Dr Southcott, per prepararne una descrizione formale. Southcott pubblicò i suoi risultati nel 1967 battezzando la nuova specie Carukia barnesi, in omaggio alla determinazione (e alla follia) del suo scopritore.
Da allora si è scoperto che questa specie, fortunatamente, non frequenta le acque costiere abitualmente ma vi converge solo quando si sommano particolari fattori ambientali quali la concentrazione di prede e la temperatura delle correnti. Purtroppo si è anche scoperto che la specie è molto più diffusa di quanto si credeva: esemplari sono stati catturati in Giappone, sulle coste atlantiche degli USA e persino in Gran Bretagna.
Per quanto il veleno dell'Irukandji sia stato attentamente studiato, alcuni dei meccanismi della sua azione sono ancora ignoti, tanto che il corso di trattamento raccomandato è quello sintomatico, ovvero sia di trattare i vari sintomi della sindrome man mano che si presentano, con particolare attenzione alla pressione sanguigna e all'aritmia cardiaca (entrambe trattate con iniezioni intravenose di sali di Epsom).
Purtroppo nel 2002 l'Irukandji reclamò la sua prima vittima nota, un turista punto mentre faceva il bagno ad Hamilton Island (Queensland).
Per peggiorare le cose un altro turista, Robert King, morì lo stesso anno in seguito alla puntura di una medusa sconosciuta, il cui veleno agisce in modo molto simile a quello di C. barnesi.
Questa nuova specie venne battezzata Malo kingi in memoria dello sfortunato King. M. kingi, C. barnesi e una terza specie descritta nel 2005, M. maxima, sono comunemente chiamate meduse Irukandji. Insieme alle meduse dei genera Gerongia, Manokia e Morbakka (che comprendono in totale quattro specie) sono ora catalogate in una famiglia dei Cubozoa creata appositamente per loro: Irukandjidae.
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[1] Hugo Flecker (1884-1957) era un celebre medico australiano, figlio di immigrati provenienti dall'Impero Austro-Ungarico. Per quanto fosse originariamente un luminare della radiologia, ottenne fama internazionale per le sue scoperte nel campo della tossicologia, specializzandosi in particolar modo negli avvelenamenti causati dalle meduse. Una delle più pericolose meduse note all'uomo, la Vespa di Mare, venne battezzata Chironex fleckerii in suo onore.
[2] Dopo il 2002 è iniziata una revisione dei record medici: si sospetta infatti che diverse morti attribuite ad altre meduse siano state in realtà causate dall'Irukandji.
[3] Tutte le meduse (insieme ai coralli ed alle anemoni di mare) appartengono al phylum dei Cnidaria o Celentrati. Le "vere" meduse, quelle che si trovano comunemente sulle coste italiane, appartengono alla classe degli Scyphozoa ("animali a forma di tazza"), mentre coralli ed anemoni di mare appartengono invece alla classe degli Anthozoa ("animali-fiore"). Le cubomeduse, quali l'Irukandji e la Vespa di Mare, appartengono invece alla classe dei Cubozoa ("animali a forma di cubo"). I veleni dei Cubozoa sono radicalmente differenti da quelli delle altre meduse e solo le tartarughe di mare paiono essere immuni.