Il gigante di Kyushu
Nel 1986 il primatologo tedesco Holger Preuschoft e il suo collaboratore M. Gunther stavano conducendo uno studio sul campo sull'etologia delle popolazioni dei macachi dalla faccia rossa (Macaca fuscata) presso l'isola di Kyushu. Durante la loro lunga permanenza nella zona, scoprirono per puro caso che su un affioramento roccioso in riva al mare della piccola isola di Koshima, era presente quella che sembrava essere una strana impronta fossile. Di aspetto vagamente umano era lunga più di 40 cm e impressa in sedimenti databili al Miocene medio, circa 15 milioni di anni fa!
Un'impronta del genere non poteva quindi che appartenere a un lontano precursore del ben noto gigantopiteco (Gigantopithecus sp.) risalente dai 6 ai 3 milioni di anni fa. Preuschoft presentò la sua scoperta durante un convengo della Società di Antropologia e di Genetica umana tenutasi a Bochum dal 10 al 12 ottobre 1991 e le sue conclusioni furono sorprendenti:
Preuschoft inoltre, oltre a ipotizzare che questo misterioso colosso del Giappone potesse essere un antenato dello yeti (giusto per non farsi mancare nulla), decise di battezzare la sua scoperta attribuendogli il nome scientifico di Pedimpressopithecus japonicus.
Ma perché di una creatura tanto straordinaria non esiste traccia in nessun libro di paleoantropologia? La risposta è molto semplice, il buon Preuschoft aveva semplicemente fatto uno scherzo ai suoi colleghi (ebbene si, ogni tanto anche gli scienziati fanno queste cose)...
Nel 1989 Bernard Heuvelmans, il padre della criptozoologia, informò l'amico Michel Dethier dell'esistenza di questa misteriosa impronta fossile e quest'ultimo decise di rivolgersi personalmente a Preuschoft, il quale gli inviò l'articolo (rimasto chiaramente inedito) che aveva presentato al convegno, dicendogli però, che non avrebbe dovuto prenderlo troppo sul serio. L'impronta del "gigante di Kyushu" infatti, era soltanto uno pseudofossile, la cui formazione era dovuta a fenomeni geologici e non al passaggio di un organismo vivente.